Quando, ormai alcuni anni fa, uscì in Italia Il magico potere del riordino di Marie Kondo, fu per me amore a prima vista: io che sono patita di space clearing e di decluttering, all’epoca credetti di aver trovato finalmente la mia musa ispiratrice. Ma già dalle prime pagine ebbi ad avvertire una distanza incolmabile tra le prescrizioni del Metodo Konmari e le mie migliori routine di riordino: impossibile per me accettare il consiglio di ripiegare magliette e mutande per farne tanti pacchettini perfetti da impilare in verticale. Fin tanto che i pacchettini riempiono perfettamente il cassetto, tutto bene, ma basta che il cassetto si svuoti di poco (e ciò avviene non più tardi di due giorni dal riordino), per mandare a monte il lavoro di ore: perché i vestiti non stanno da soli in verticale, presi come sono dal rispetto della Legge di Gravità, molto più scientifica del Metodo Konmari. I pacchettini crollano l’uno sull’altro, trasformando il cassetto perfetto in un normale cassetto imperfetto. E poi quella storia del ringraziare le cose prima di buttarle via: grazie, Vetril, per avermi aiutato a tenere puliti i vetri. Ora però ti butto perché il flacone è vuoto ed ho bisogno di ricomprarti. Grazie, cara gonna dei tempi del liceo: mi ricordi tante cose belle, ma ormai non mi entri più da anni, e quindi decido di trasferirti nel sacco destinato alle donazioni. Insomma: una roba così mi è suonata parecchio strana, e comunque un po’ troppo lontana rispetto alle mie abitudini. In terzo luogo: siamo proprio sicuri di dover buttare via quasi tutto? Passi per i vestiti del passato, per i campioncini di shampoo rinsecchiti e per le bomboniere delle comunioni dei cugini, ormai diventati nonni. Ma… i libri? Vogliamo forse buttare via i libri? Io con i libri ci tappezzerei tutta la casa, altro che liberarmene. Anche se non li ho letti, o anche se li ho letti dieci volte, non mi sogno nemmeno lontanamente di liberarmi dei MIEI libri di lettura (quelli di scuola sono ovviamente un discorso a parte). E che dire dei piatti e dei sottopiatti? Io ho cinque, sei servizi di piatti e altrettante serie di sottopiatti di vari colori. Sono ovviamente in eccesso rispetto al semplice parametro dell’uso pratico, ma rispetto ai miei gusti rappresentano la quantità giusta per variare e rendere sempre diversa e invitante la tavola, quando vengono a cena gli amici. Forse 10 tovaglie di alta qualità sono troppe rispetto alla semplice necessità di apparecchiare, ma sono giuste giuste per me, quando ho piacere di alternare i diversi colori per rinnovare l’esperienza positiva dei miei ospiti.
Per me un telefonino è già troppo, mentre 50 collane sono giuste; vado in giro con 3 paia di scarpe l’anno, ma ho almeno 30 borse. Insomma: ognuno ha il diritto di fermarsi al punto “BASTA” quando vuole, godendosi la varietà negli ambiti che gli sono più congeniali. Il minimalismo è relativo, e non assoluto. Certo, su alcune cose Marie Kondo ha detto verità condivisibili: per riordinare in modo efficace, conviene procedere per tipologie, e non per stanze. Dunque, tiriamo fuori tutti gli abiti da tutti gli armadi contemporaneamente, piuttosto che procedere stanza dopo stanza. Solo così avremo un quadro d’insieme dei nostri “beni materiali”. Sicuramente meno è sempre meglio che più. E se questo meno è anche bello, o comunque è nelle nostre corde, vivremo meglio nella nostra casa, che sarà appunto più in linea con la nostra identità, aiutandoci a sviluppare e far crescere il nostro io migliore.
Fin qui, ci possiamo stare, ammettiamolo.
Certo però la distanza dalla cultura giapponese si nota parecchio, per non parlare del fatto che le nostre case sono di norma molto più grandi di quelle giapponesi, e ci permettono di conservare molte più cose di quanto non sia possibile a casa di Marie Kondo.
Mi sono messa dunque alla ricerca di un nuovo modello di Home Organizing che fosse più vicino alla mia cultura, e mi permettesse di coniugare l’esigenza del’ordine con la pratica dell’abbondanza, almeno per tutta una serie di oggetti. E l’ho trovato!
La mia nuova guru dell’organizzazione domestica si chiama Alejandra Costello: vive in Virginia in una casa bellissima, in cui ha messo in pratica le sue regole di semplificazione e decluttering. I suoi video sul canale YouTube sono un tripudio di organizzazione e ordine: una vera e propria gioia per gli occhi in salsa yankee. Che cosa mi convince molto del suo approccio? Per lei l’ordine non è un valore a cui aspirare, ma un mezzo per una vita più serena, nella quale ci si può permettere di essere più focalizzati sugli obiettivi e meno distratti dagli ingombri rappresentati dagli oggetti fuori posto. Il metodo migliore per ordinare non è tanto eliminare, quanto organizzare all’interno di contenitori facili da spostare, da aprire e da archiviare, in modo tale che la fatica del riordino sia comunque inferiore alla fatica di una ricerca vana. Uno dei suoi principi fondamentali è quello – dettato peraltro dal più comune buon senso, ma non per questo più rispettato – secondo il quale le cose di uso più frequente debbono stare a portata di mano, mentre ciò che serve di meno può stare nei ripiani meno raggiungibili degli armadi, assieme alle scorte. Inutile, dice Alejandra, tenere cinque flaconi di shampoo nella doccia: basta tenerne uno solo, e poi sostituirlo con un altro flacone non appena è necessario. Altro principio fondamentale è quello della classificazione: le penne stanno con le penne, i pennarelli coi pennarelli, le gomme con le gomme. E perché questa classificazione possa durare, è necessario usare appositi contenitori o separatori, che permettano di tenere distinto ciò che non deve essere mescolato. L’importante è che in ogni contenitore sia facile visualizzare ciò che c’è e sia facile accedere al contenuto. Per i barattoli rotondi servono i Lazy Susan, ovvero i vassoi girevoli, mentre per altri tipi di oggetti si possono usare i contenitori di plastica o le scatole di cartone. Tra le “armi da guerra” di Alejandra c’è la etichettatrice: una macchinetta che stampa lastrine adesive da applicare nei luoghi appositi per individuare con maggiore facilità le categorie presenti in ogni cassetto o ripiano. Come fa una bibliotecaria a non innamorarsi di un sistema del genere?
Ci sono degli aspetti che mi hanno lasciato un pochino perplessa anche nei consigli di Alejandra: aspetti che sostanzialmente hanno a che fare con la distanza di cultura e costumi che esiste tra le nostre abitudini e quelle degli Americani. Una prima differenza riguarda le dimensioni: la casa di Alejandra viaggia sui 300 mq, e si può permettere armadi e dispense di dimensioni impensabili per le case italiane, molto più piccole. In dispense del genere si visualizza una quantità di scorte di beni di consumo ben superiori alle nostre abitudini. Tutto risulta “tanto” e forse “troppo”, specie quando si tratta di snack e altro junk food. Inoltre il ricorso piuttosto convinto ai materiali dei Dollar Tree Stores tende a non evidenziare la distanza tra un cestino di pessima plastica e – poniamo – un bel cesto di vimini lavorato a mano. Spesso i consigli per la scelta dei contenitori si orienta sulla poca spesa piuttosto che sulla qualità estetica del risultato. Insomma, un pragmatismo operativo che io avrei preferito avesse concesso qualcosa in più all’estetica. Non mi piace neppure la scelta – visibile in alcuni tutorial – di collocare i libri in ordine di colore sugli scaffali di casa: i libri non sono pennarelli, e si collocano per tema o per tipologia. Il colore no, per favore.
A parte questi aspetti su cui si appunta il mio disaccordo, credo che l’approccio di Alejandra possa risultare nella pratica molto funzionale: Proverò a metterlo in pratica dai prossimi giorni, e vi farò sapere. Stay ftuned!