L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Coronavirus ha introdotto moltissimi cambiamenti nella nostra vita, sia personale che professionale. Molti di questi cambiamenti avranno effetti anche in futuro, quando la quarantena sarà finita e ritorneremo a frequentare con regolarità i luoghi dove finora trascorrevamo il nostro tempo. Non saremo mai più gli stessi di prima, e forse – accanto alle sofferenze per la malattia e al dolore per le persone che purtroppo non ce l’hanno fatta – potremo dire di avere appreso qualche lezione nuova. Ecco alcune di queste lezioni, almeno secondo me.
Già dopo qualche giorno dall’inizio della quarantena sono apparsi i primi pacchetti formativi in modalità webinar: quasi tutti gratuiti, o offerti a prezzi di forte realizzo agli uffici responsabili della formazione del personale degli enti. Le perplessità e i dubbi si sono sciolti dopo il primo minuto di collegamento: quando la connessione internet funziona bene, già da soli i sistemi di videoconferenza offrono l’opportunità di realizzare ottime occasioni formative, senza bisogno di scomodare le complesse piattaforme dell’apprendimento a distanza. Si vede bene la faccia del relatore, si vedono i volti dei partecipanti e si seguono le espressioni di attenzione o distrazione; è possibile integrare con facilità l’uso di slides e niente vieta di distribuire attraverso i tradizionali canali di posta elettronica i materiali di approfondimento, i questionari di valutazione, i compiti da fare tra una lezione e l’altra.
L’aula didattica ha la sua tenuta, ma – a differenza di quanto avviene in un’aula reale della formazione professionale – è bene non superare le due ore filate di lezione, perché la condizione di apprendimento è più faticosa e non lascia spazio a distrazioni (a meno di non spegnere la telecamera e il microfono, ma non è bello farlo). Questa durata più breve dell’evento formativo trasforma sicuramente i programmi didattici, che – almeno nel caso della formazione dei bibliotecari – hanno la tendenza a articolarsi tra un minimo di 4 e un massimo di 8 ore giornaliere: bisogna frazionare gli argomenti in più puntate, e soprattutto ampliare il segmento di attività destinato naturalmente al lavoro individuale, che in presenza ha un impatto molto più contenuto. Bisogna organizzare esercizi e attività da proporre ai partecipanti nella settimana che intercorre tra una lezione e l’altra, mettere a punto più materiale didattico di approfondimento e anche strutturare più nel dettaglio la scaletta delle lezioni, perché a distanza ogni secondo di “vuoto” (come quando un docente cerca una citazione in un libro) viene percepito come tempo perso in misura molto più forte. Il ritmo è più veloce, la didattica è più serrata, le deviazioni dal percorso meno gradite a tutti. Il fatto poi che quasi tutte le lezioni vengano registrate ha l’effetto di “ufficializzare” gli interventi, riducendo a zero lo spazio per le battute improvvisate o per le affermazioni semplificate.
Aspetti positivi: il risparmio sui costi di viaggio e permanenza di docente e partecipanti. Chi organizza il corso vede dimezzarsi le spese a proprio carico, non dovendo farsi carico di rimborsare le spese del treno, dei pasti e dell’hotel per il docente, nel caso venga da lontano. Questa libertà amplia la platea dei possibili docenti da chiamare, che a loro volta hanno più opportunità di accettare incarichi formativi, perché maggiormente compatibili con le proprie esigenze lavorative e familiari: lasciare l’ufficio e la famiglia per 2 giorni può essere un problema per molti, mentre sottrarsi a tutti gli altri impegni per 2 ore alla settimana è molto più alla portata di tutti. Ci sono aree del paese più decentrate o con collegamenti più complicati, per le quali un incarico professionale diventa una vera avventura, con l’effetto di diluire l’effetto motivante del compenso: per 200 euro netti, che arriveranno magari l’anno prossimo, chi si prende la briga di sprecare 3 giorni di ferie?
E anche per i partecipanti la distanza non sarà più un problema: sarà possibile partecipare alle occasioni più ghiotte senza muoversi da casa o dall’ufficio, riducendo quasi a zero l’impatto negativo dell’impegno formativo.
Aspetti negativi: il turismo formativo è un comparto economico che ha il suo perché, e che in questo caso sarà destinato praticamente ad azzerarsi. Non sarà possibile “cambiare aria”, cosa che ogni tanto fa bene a tutti, docenti compresi. Non ci saranno quei contatti informali tipici della formazione in presenza che permettono di conoscere nuovi colleghi, scambiarsi idee e impressioni nelle pause, davanti alla macchinetta del caffè o durante il pranzo.
Ma nel nuovo contesto a distanza la formazione potrà non essere più una occasione rara, bensì come una pratica frequente, in ragione del suo minore impatto gestionale ed economico: a parità di budget e di tempo sottratto materialmente all’ufficio, si potranno seguire 5 corsi anziché 1, con l’effetto di consolidare le competenze dei partecipanti. La prospettiva, dunque, è piuttosto favorevole: a meno di non essere il gestore dell’alberghetto di famiglia nella stessa strada dei centri di formazione professionale.