Nel numero di maggio di Biblioteche oggi si parla di library of things, ovvero biblioteca delle cose: un tema che sta risvegliando un grande interesse tra i bibliotecari, molti dei quali favorevoli a questo tipo di innovazione, ma molti altri contrari.
La biblioteca delle cose, dove si prestano oggetti di uso non corrente, esiste anche in Italia, ma nasce e si sviluppa fuori dall’ambito bibliotecario: la prima in ordine di tempo è Leila Bologna, che collabora con Biblioteca Salaborsa aprendo un suo punto prestito una volta alla settimana all’interno della grande biblioteca bolognese. Da una costola di Leila è nata la biblioteca delle cose a Formigine. C’è poi Oggettoteca Firenze, che non ha relazioni con le biblioteche comunali, ma nasce come progetto di integrazione sociale e lavorativa di ragazzi in difficoltà. Ultima in ordine di tempo, annunciata alla vigilia dell’emergenza Coronavirus, Zero a Palermo. In tutti questi casi, basta pagare una piccola quota annuale e mettere a disposizione qualcosa di proprio, per poter prendere in prestito gli oggetti che servono: un trapano, un canotto gonfiabile, un paio di sci, o una idropulitrice. Le attrezzature e gli oggetti a disposizione di tutti vengono usati molto di rado, e spendere per acquistarli potrebbe non essere un buon affare, sia per la spesa in sé, sia per il rapporto tra soldi investiti e risultati finali. Molto meglio accedere al prestito: perché comprare, quando puoi usare gratuitamente l’oggetto che ti serve quando ti serve davvero?
La stessa logica del risparmio, del rifiuto dello spreco e dell’economia circolare soggiace alla biblioteca delle cose attiva in tante biblioteche universitarie e pubbliche: perché comprare una chitarra al figlio adolescente, quando la sua passione per lo strumento rischia di durare lo spazio di un mattino, per essere surclassata da una nuova passione? Meglio prendere in prestito la chitarra, e se – col tempo – la passione del momento si trasformerà in qualcosa di serio, ci sarà tutto il tempo per acquistare lo strumento più adatto. Allo stesso modo, se trovo in soffitta una vecchia VHS con il video di una cerimonia ormai lontana, devo forse andare a comprare un lettore VHS, quando peraltro sarà difficilissimo trovarlo? Meglio prendere in prestito un lettore alla biblioteca delle cose, visualizzare il filmino e poi restituire il tutto. E senza avere speso un euro.
Le esperienze delle Libraries of Things si stanno moltiplicando in tutto il mondo; in alcuni paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, esse transitano dalle biblioteche pubbliche. Può essere interessante riflettere sull’opportunità di ampliare il raggio d’azione delle biblioteche pubbliche anche ad oggetti non librari: rompere il canone informativo può essere un tabù, ma la storia ci insegna che la rottura dei tabù è un grande acceleratore delle vicende umane.