Questa sera, di ritorno dal lavoro, mi sono fermata ad un’edicola lungo la strada per fare scorta di letture “superimpegnate” da gustare sul divano nel fine settimana: arredamento, bricolage, decorazioni in preparazione del Natale, cose così. Ovviamente non darò nessun seguito operativo ai consigli letti, ma sfogliare queste riviste mi rilassa più di un massaggio shiatsu, e come spesa non c’è paragone, visto che riesco a cavarmela con meno di quindici euro.
Per raggiungere l’agognata meta dei femminili, devo saltabeccare tra diverse pile di piatti in ceramica ed affrontare, come una guerrigliera senza paura, un percorso d’ardimento tra i richiami degli uccelli, passando per tutti i segreti della caccia e della pesca, i libri di Piero Angela e quelli di Emilio Salgari. L’assenza di allenamento alla corsa ad ostacoli si sente: per un nonnulla non mi sfracello sulle cataste di case delle bambole in miniatura. Per non parlare dei soldatini di piombo, dei galeoni da comporre a partire da diecimila pezzetti diversi. E che dire dei carrarmati della seconda guerra mondiale in versione Lilliput? E della Corazzata Bismark? E degli automezzi per il movimento terra? Un momento: vogliamo forse lasciare in secondo piano la Miura Lamborghini gialla (dico: gialla!)?
Da alcuni giorni impazzano in tv le offerte lancio delle più improbabili raccolte a fascicoli settimanali.
Ma come mai queste collezioni vengono lanciate sempre l’ultima settimana di agosto, non un giorno di più, non un giorno di meno? Non lo so, ma azzardo qualche valutazione. L’ultima settimana di agosto, in effetti, è quella nella quale si respira l’aria della ripartenza dopo le ferie estive. Sembra dunque che neppure quel mascalzone del Covid abbia interrotto la tradizione: ripartenza significa aprirsi al futuro, progettare nuove prospettive, comprese quelle che riguardano le spese a lungo termine. Chi è più esperto di me dice anche che è proprio questo il momento in cui il costo degli spazi pubblicitari è più basso, e quindi l’investimento sui lanci è più redditizio. https://ilsalvagente.it/2018/08/28/via-alla-stagione-del-collezionismo-da-edicola-con-i-soliti-trucchetti/
“Ma ci sarà qualcuno che se le compra, queste ciofeghe?”, mi sono sempre domandata. Poi le vedo tutte lì, le ciofeghe, organizzate sul pavimento dell’edicola come i soldati di Wellington prima della battaglia. Sì, evidentemente qualcuno se le compra. E spende anche parecchi soldi, perché dopo le prime uscite a prezzi da acchiappo, per completare la collezione può succedere anche di superare i duemila euro.
E fin qui nulla da dire: ognuno ha il sacrosanto diritto di comprare quello che gli pare e spendere i suoi soldi in libertà, senza che io o altri ci mettiamo a fare i maestrini con la penna rossa. Ma – mi domando – chi compra questa roba, poi che fa? Affitta anche un appartamento apposta per lo stoccaggio? Anni addietro, ricordo molto bene, era uscita la raccolta delle Madonne. Cosa si può fare – con tutto il rispetto, s’intende – con le Madonnine di Lourdes, di Fatima e di Medjugorje? Tre possono stare su una mensolina in casa, e possono anche avere il loro perché. Ma trenta? Trecento? Trecento Madonne, ma avete idea?
Nonostante lo spirito minimalista, il mio cuore fa un salto triplo carpiato alla Cagnotto quando mi imbatto, quasi all’uscita dell’edicola, nella collezione De Agostini dedicata alle penne stilografiche: 65 penne stilografiche tutte diverse l’una dall’altra, da raccogliere in un elegante cofanetto, che in effetti potrebbero anche servirmi, magari una all’anno, solo se avessi una aspettativa di vita di altri 65 anni. Ma sono certa che le mie cinque Montblanc rimaste a casa ci rimarrebbero malissimo. Mi dispiace, signor De Agostini, niente penne stilografiche: inutile che la Alessandro Manzoni mi guardi dal suo PVC con quell’aria triste, implorandomi di portarla via di lì. E’ una sofferenza, ma resisto.
Trent’anni fa aveva un senso comprarsi “La divina Commedia” illustrata da Dorè a fascicoli settimanali, o la “Storia dell’arte” De Agostini: si trattava comunque di opere importanti, che all’epoca svolgevano un ruolo di promozione sociale e – sia pure a modo loro – sostenevano dignitosissimi percorsi personali di distinzione e buona volontà (per usare espressioni care a Bourdieu).
Fatemi ripensare con grande nostalgia ai Maestri del colore dei Fratelli Fabbri: ce ne stanno ancora tante copie nelle case, e altrettante le ritroviamo tra i doni degli utenti destinati al mercatino degli Amici della San Giorgio.
Se avessi spazio in casa, a 1 euro l’uno (questo il prezzo del mercatino!) me li comprerei proprio tutti. E passerei una settimana di ferie a sfogliarli, uno dopo l’altro, in totale beatitudine, di fronte a tanta perfezione tecnica delle riproduzioni fotografiche. Era il 1963, se non ricordo male, e i Fratelli Fabbri – dopo avere messo a segno un incontrastato successo editoriale a fascicoli come “Conoscere” , dopo avere acquisito stabilmente la leadership nello scolastico e nelle prime vendite in edicola – mostrarono di saper interpretare lo spirito dell’epoca, incontrando la voglia di acquisizione culturale degli Italiani, a cui il boom economico aveva cominciato a portare più soldi in tasca e più tempo libero.
Bei tempi! I maestri del colore, allora; oggi la Miura gialla a pezzi: non sempre il tempo è galantuomo.