Per la giornata di oggi è stato indetto uno sciopero dei dipendenti pubblici dalle principali sigle sindacali. Le motivazioni legate allo sciopero non sono esclusivamente di natura economica, ma riguardano alcune tematiche di centrale importanza nello sviluppo del paese: dalla presenza di un’ampia fascia di “precariato” alle scelte strategiche sugli investimenti in infrastrutture da fare a favore della PA, dalla mancata attuazione del Codice sull’amministrazione digitale ad una minore casualità nell’impiego dello smart working.
Io e i miei colleghi abbiamo deciso di non aderire allo sciopero, non già perché riteniamo poco significative le questioni da esso sollevate, ma perché, nello speciale momento che stiamo vivendo, giudichiamo del tutto inopportuno sottrarre anche per un solo giorno l’apporto della Pubblica Amministrazione alla vita dei cittadini. Un contesto nel quale la crisi che ha colpito intere categorie sociali a seguito delle chiusure delle attività imposte dalle misure di contenimento della pandemia rende incomprensibile ed offensiva un’alzata di scudi da parte di quelle categorie di lavoratori che si sono ritrovate in posizioni di garanzia nei confronti del proprio reddito usuale.
Male hanno fatto i sindacati a indire uno sciopero che, non essendo utile a trattare le tematiche in gioco, hanno solo inasprito il conflitto sociale, inducendo le persone in difficoltà a gettare ulteriore discredito su coloro che sono considerati e giudicati fannulloni, senza possibilità di smentita o di distinzioni. I sindacati da molto tempo vivono in un mondo autoreferenziale nel quale mirano a difendere un proprio ruolo, ormai fortemente decaduto, quando invece avremmo davvero bisogno di trovare in loro un punto di riferimento serio e affidabile per rilanciare le prospettive del lavoro in Italia. Hanno fatto una pessima figura e svolto un ruolo vergognoso in questo contesto, non certo all’altezza della propria onorevole storia passata.
Io credo che sarebbe stato molto meglio proporre uno sciopero al rovescio: chiamare i dipendenti pubblici a partecipare alla rinascita del paese con uno sforzo aggiuntivo, offrendo gratuitamente una parte del proprio lavoro a sostegno del bene comune, senza compenso. Dieci, cinquanta, cento ore di lavoro in più l’anno, a titolo di volontariato, per fare più e meglio ciò che ognuno dei dipendenti è chiamato a fare, gestendo pratiche, liquidando fatture, organizzando iniziative. Io personalmente metto 100 ore di lavoro sul piatto: 100 ore lavorate in più, gratis. Una provocazione? No: nel mio caso la verità dei fatti. In quanti sanno che molti dipendenti pubblici (mica sarò la sola al mondo!) lavorano per molte ore più del previsto, e queste ore vengono cancellate a fine anno, come se nulla fosse, senza nemmeno essere recuperabili? La storia del fannullonismo vale davvero per tutti? Siamo proprio sicuri? Possiamo cominciare a valorizzare il lavoro pubblico per quello che effettivamente offre a sostegno del benessere del paese?
I sindacati possono imparare a fare il loro lavoro, valorizzando le amministrazioni virtuose, gli uffici che lavorano bene, rompendo il cerchio magico dei fannulloni, smettendo di difenderli e invece cominciando a combatterli? C’è bisogno di un nuovo patto sociale in Italia, e nessuno potrà sottoscriverlo senza i dipendenti pubblici. Ma in questo patto essi non potranno comparire come scrocconi sulle spalle di chi invece lavora davvero. Io personalmente sono stanca di essere inserita di default in una categoria inguardabile: vorrei che il mio lavoro venisse apprezzato e riconosciuto non soltanto da chi mi conosce personalmente, ma anche dagli altri. E ovviamente nel dire “io” non sto parlando di me in senso stretto, ma come uno dei milioni di dipendenti pubblici che ogni giorno porta il proprio contributo di testa e di cuore alla vita del nostro Paese.