Dacia Maraini, Edith Bruck, Liliana Cavani, Michela Murgia, Luciana Littizzetto, Silvia Avallone, Melania Mazzucco, Lia Levi, Andrée Ruth Shammah, Mirella Serri, Stefania Auci, Sabina Guzzanti, Mariolina Coppola, Serena Dandini, Fiorella Mannoia: sono loro le firmatarie di un appello per la scelta di una donna al ruolo di Presidente della Repubblica Italiana.
L’appello ha fatto molto discutere – come avviene di solito quando in gioco c’è una proposta importante. L’Italia non ha mai avuto una donna presidente della Repubblica: poche sono state le donne che hanno ricoperto un ruolo importante a livello istituzionale. La mia età mi permette di ricordare molto bene la nomina a presidente della Camera dei Deputati di Nilde Jotti, o i diversi incarichi di ministro affidati a Tina Anselmi.
In una indagine condotta un anno fa dal Sole-24 ore (vedi), al netto dunque dell’ultimo Governo Draghi, le donne che hanno ricoperto incarichi istituzionali sono state solo il 6,5% del totale. La situazione è solo di poco migliore a livello regionale e comunale, dove le elette superano di poco il 20%. Per non parlare della ghettizzazione: si contano sulla punta delle dita di una mano, e non servono neppure tutte, i casi di donne messe a capo di ministeri non strettamente legati alla cura, come gli affari sociali, l’istruzione, le pari opportunità.
Si tratta di problematiche molto complesse, per le quali c’è bisogno di dotarsi di interpretazioni non banali. Al di là delle questioni di merito, per una donna le difficoltà di affermazione in politica sono maggiori, sia per l’assenza di serie reti di tutela e sostegno rispetto ai carichi familiari, sia per le dinamiche di chiusura operate con sapienza da chi non è disponibile a lasciarsi spodestare.
Per parte mia, sono dell’avviso che la discussione più efficace debba ruotare non attorno al sesso del nuovo candidato alla Presidenza della Repubblica, bensì attorno ad alcuni nomi e cognomi di peso: Marta Cartabia, innanzi tutto, su cui potrebbero convergere i consensi di molti (anche se un po’ troppo segnata dal suo approccio anti-abortista e contrario al concetto di famiglia allargata), Anna Finocchiaro, Rosy Bindi, Roberta Pinotti, Elisabetta Belloni. Per Emma Bonino forse è troppo tardi.
Vediamo come si evolve il dibattito: un dibattito a cui le donne sono chiamate a partecipare in prima persona.