Nei giorni scorsi, in vista della presentazione programmata presso la Biblioteca Forteguerriana, ho intrapreso la lettura del volume “Le opere e i libri” del prof. Paolo Traniello, uscito nel 2021 per i tipi di Edizioni di storia e letteratura. L’esperienza di lettura è stata oltre modo positiva, in quanto mi ha permesso di guardare a tre “mostri sacri” della letteratura italiana (Foscolo, Leopardi e Manzoni) da un punto di vista diverso da quello che avevo maturato, ormai tantissimi anni fa, sui banchi di scuola. In effetti almeno ai miei tempi si guardava ad autori del genere come uomini speciali, creatori di opere immortali, da imparare a memoria o comunque da ammirare, senza entrare nel merito delle condizioni materiali in cui hanno lavorato, producendo opere letterarie destinate a diventare patrimonio primario di una nazione.
La chiave di lettura del libro di Traniello sta tutta nel titolo, che sottolinea una distanza concettuale importante tra il concetto di “opera”, intesa come prodotto intellettuale generato dalla sensibilità, dal talento e dal sapere del suo autore, e il concetto di “libro”, inteso come prodotto editoriale destinato alla circolazione e alla vendita. Opera e libro possono godere di un destino comune solo grazie all’intervento di un soggetto diverso dall’autore: l’editore, ovvero quel soggetto che opera sul libero mercato e che si assume il rischio d’impresa, investendo propri capitali sulla pubblicazione di un’opera che potrà essere destinata al successo come all’oblio. L’editore è chiamato a fare la differenza tra successo ed oblio attraverso operazioni che attengono alla promozione del libro, alla sua efficace distribuzione, alla pubblicità, alla ricerca e alla individuazione di un target di pubblico ritenuto ideale per quel tipo di acquisto. Il libro è una merce a tutti gli effetti, e la sua nativa dimensione culturale nulla cambia in termini di regole in materia di incontro tra domanda e offerta.
Ma all’epoca in cui i tre grandi autori scrivevano, in Italia non si era ancora sviluppata l’editoria moderna, che peraltro cominciava a muovere i primi passi solo in Inghilterra: l’autore si concepiva ancora editore di se stesso, e guardava agli aspetti di produzione dell’opera in termini di mera riproduzione tipografica: tra editore e stampatore non c’era ancora quella percezione di differenza che caratterizza il nostro tempo. Per cui tutti e tre si imbarcarono in pseudo-imprese editoriali destinate a non avere fortuna: giocarono con carte vecchie su un tavolo tragicamente nuovo, immaginando di acquisire lettori tramite i vecchi istituti delle sottoscrizioni anticipate, senza minimamente rendersi conto che il pubblico da conquistare doveva essere ricercato con metodi del tutto nuovi.
Nel libro ripercorriamo lo scontro tra Foscolo e l’editore Bettoni, titolare di un nuovo modo di concepire la funzione editoriale (di scelta degli autori, di organizzazione delle collane, di organizzazione delle presentazioni, di relazione con le autorità, etc.) per lui del tutto inaccettabile, perché legata al mercato, e perciò stesso estranea al mondo della cultura: eppure lui, con la sua esperienza inglese, doveva essere ben più consapevole di ciò che si stava muovendo in quel mondo di economia della cultura in cui si era più volte perso, ritrovandosi privo di soldi e costretto più volte a fare affidamento all’aiuto di amici o al sussidio del viceré d’Italia.
Lo stesso Leopardi ebbe grosse difficoltà a “vivere di penna”, dopo che il padre Monaldo mandò in dissesto il patrimonio di famiglia. Le difficoltà intercorse nelle relazioni con editori veri come Stella e Brighenti, non riuscirono a comprendere la diversità del proprio ruolo di autore da quello di editore: esemplare la sua indignazione per l’ipotesi di Stella di pubblicare le sue Operette morali in una collezione per signore, “La biblioteca amena”, che avrebbe garantito un’ottima riuscita commerciale all’opera.
Manzoni, fra i tre autori, è quello che più di ogni altro si trovò ad affrontare il tema della proprietà letteraria, che per la prima volta nella storia è sottratta al bisogno di una concessione autoritativa, ma necessita di alcune tutele a favore dell’autore come “primo proprietario” dell’opera. La sua vita fu punteggiata dal problema delle contraffazioni, cioè edizioni non autorizzate, per le quali non percepiva alcun compenso in termini di copyright. Il libro ricostruisce con dovizia di dettagli la controversia avuta con l’editore Le Monnier, che aveva pubblicato una versione del 1832 non autorizzata dei Promessi Sposi, che Manzoni non riconosceva più come rispondente al proprio progetto artistico. Le argomentazioni della controversia, che portò all’autore milanese un indennizzo economico, sono però curiosamente antiche: non esiste più il Principe che riconosce il privilegio di un’opera, oggi è la società a doverlo fare, garantendo all’autore che non ci sia nessuno a ristampare un’opera senza il consenso del suo autore.
Dunque, logiche antiche per un mondo moderno: una inadeguatezza strategica che i tre autori immortali pagarono in termini di difficoltà a “vivere di penna”, rallentando per certi versi con il loro carisma un percorso verso la maturazione della figura dell’editore-imprenditore che appunto in Italia tardò a formarsi.