La vicenda degli "scontrinisti" alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ha dell'incredibile. In questo articolo sul Manifesto viene raccontata, sia pure per sommi capi, la storia di alcune persone (giovani, ed anche non più giovani) che hanno lavorato per anni, 24 ore alla settimana, come "assistenti di biblioteca" alla Nazionale di Roma, gestendo i prestiti, curando il rapporto con il pubblico, rimettendo a posto i libri. Formalmente sono stati inquadrati come "volontari", e perciò non retribuiti (come peraltro è giusto che avvenga con i volontari "veri"), ma ricompensati delle spese sostenute per lo svolgimento del lavoro volontario attraverso il rimborso di una cifra massima di 400 euro al mese, da documentare attraverso la consegna di documenti di spesa (gli scontrini, appunto).
Siamo al di là del bene e del male. E non c'è ragionamento che tenga: se la biblioteca statale più importante e rappresentativa del Paese introduce nella sua prassi quotidiana, non per un mese, ma per anni una modalità di gestione di questo tipo, vuol proprio dire che siamo non alla frutta, ma che il pranzo è finito, ed abbiamo già sparecchiato.
Non posso quindi che esprimere tutta la mia solidarietà umana e professionale a questi "disgraziati" (e lo dico certo non per offenderli, ma per sostenterli ancora di più) che si sono prestati a siffatte condizioni di simil-lavoro, dovendo sobbarcarsi anche la ricerca e la raccolta di scontrini per poter pietire un minimo di rimborso spese, aderendo loro malgrado ad un gioco perverso che li ha costretti non solo a subire un vero e proprio sfruttamento, ma anche ad agire al limite della legalità. Se poi penso che, dopo la denuncia del caso sui media, l'unico effetto che si è registrato (almeno questo è ciò che mi risulta) è stato quello di allontanarli dalla biblioteca, al danno si è aggiunta per loro anche la beffa: e proprio per questo mi metto senza mezzi termini dalla loro parte.
Occorre però fare un ragionamento più ampio, per ricostruire correttamente i termini di questa vicenda. E procederò per punti, lasciando da parte per il momento il caso specifico degli scontrinisti della Nazionale (che riprenderò più avanti):
Punto 1: Il volontariato è cosa diversa dal lavoro retribuito
Punto 2: Il volontariato è una risorsa importantissima per le biblioteche
Questi due punti vanno esaminati assieme: l'apporto volontario di una persona alla vita di una biblioteca non deve MAI, dico MAI, sostituirsi né temporaneamente né stabilmente al lavoro retribuito del personale. Quindi, un volontario non può e non deve rimettere a posto i libri, fare servizio al pubblico, catalogare, ed in generale svolgere quelle funzioni tecnico-professionali che meritano di essere pagate, perché corrisposte in modo garantito sul fronte della continuità e della qualità da chi è stato chiamato a svolgere quelle attività in un contesto regolato da un rapporto di lavoro o da un contratto di servizio (se poi i dipendenti pubblici e i collaboratori delle cooperative guadagnano poco, è altro discorso, che non possiamo affrontare qui).
Il volontariato in biblioteca non è una occasione per risparmiare sulle spese di personale, ma è una modalità per radicare maggiormente la biblioteca sul territorio, creando attorno ad essa una "cintura di protezione": i volontari possono raccogliere fondi, fare "mercatini", offrire opportunità aggiuntive alla biblioteca, sostenere – grazie ai loro rapporti in città – la nascita di nuovi punti prestito esterni, incentivare la creazione di gruppi di lettura o di gruppi di interesse… Infinite sono le opportunità che i volontari possono "agire" nella quotidianità, andando a rafforzare il servizio di base, che deve essere stabilmente nelle mani di personale qualificato (e non raccolto qua e là, intendiamoci).
Alla base della prestazione volontaria, ci dev'essere il desiderio individuale di offrire il proprio tempo e il proprio sapere in forma gratuita alla biblioteca, nell'intento di partecipare alla vita della comunità, di mettersi alla prova con una nuova esperienza, di condividere con altri un impiego intelligente del tempo libero. Il volontario agisce un po' per altruismo (fare il bene della biblioteca), un po' per egoismo (trovare una nuova occasione per esprimere se stesso, stare in compagnia, occupare il proprio tempo). Qui egoismo e altruismo agiscono entrambi in chiave assolutamente positiva ed efficace.
In questo senso il volontario non deve ricevere alcuna retribuzione, né – in linea di principio – alcun rimborso spese: se, per partecipare al mercatino dei libri usati deve pagare il tagliando del parcheggio, o si ferma a fare colazione, i cinque euro spesi fanno parte della sua gestione ordinaria della vita, e non certo debbono essere rimborsati né dall'associazione a cui appartiene né (tanto meno) dall'amministrazione presso la quale svolge servizio volontario. La sua offerta alla biblioteca è bene che sia sempre senza se e senza ma: libera ed assieme riconfermata con piacere e partecipazione ad ogni impegno.
Purtroppo la pratica depurata dal rimborso spese funziona meglio nei contesti nei quali il volontario può permettersi di non far caso ai cinque euro spesi per partecipare ad un evento della biblioteca: perché magari ha un lavoro o una pensione che gli garantiscono la tranquillità economica. Quando invece il lavoro non c'è ancora o non c'è più, o comunque non è presente una base economica stabile su cui costruire il proprio apporto disinteressato, ecco che rischia di scattare un meccanismo perverso: quello della ricerca del rimborso spese come fine in sé, come benefit a cui puntare. Ho conosciuto direttamente o indirettamente più di un caso di servizi volontari continuativi, gestiti "a scontrino" o comunque "a rimborso spese": di essi mi è capitato di parlare anche nel libro La biblioteca è anche tua! Si tratta sempre di casi patologici, nei quali il volontario (quasi sempre un pensionato) non soltanto ha il piacere di tenersi occupato in qualcosa di significativo e utile, ma anche guarda al lato positivo di poter arrotondare in qualche modo la propria pensione, o garantirsi ogni giorno la colazione pagata al bar. E, poiché la furbizia è la prima virtù nazionale, meglio ancora se nel rimborso spese rientra pure il caffè per l'amico, la fetta di pizza da consumare per cena, e il tagliando del parcheggio usato nel giorno del mercato, e non nel giorno dell'attività della biblioteca: tanto, chi controlla?
E ora torno ai nostri scontrinisti della Nazionale:
Punto 3: Gli scontrinisti formalmente erano volontari ricompensati con un rimborso spese
Punto 4: Gli scontrinisti agivano e si percepivano come lavoratori precari sotto-pagati.
Ho premesso la mia solidarietà più sincera e profonda nei confronti di queste persone. E non voglio doverla richiamare più. Però mi sento di fare anche alcune considerazioni che sicuramente appariranno "antipatiche" e che sono altrettanto sicuramente scomode da fare.
Queste persone per anni sono state dentro una situazione ambigua, percependo se stesse come lavoratori ed accettando una "retribuzione" netta di circa 4 euro l'ora, senza tasse né contributi (24 ore la settimana per 4 settimane fanno 96 ore; 400 euro diviso 96 ore fa poco più di 4 euro l'ora). La dazione di denaro è stata formalizzata come rimborso spese documentate (dagli scontrini, appunto), e quindi gestita interamente come un extra-reddito. Posso immaginare che queste persone abbiano accettato per anni di stare dentro un contesto del genere, perché non hanno trovato di meglio, o perché hanno potuto integrare i 400 euro con ulteriori fonti di reddito acquisite tramite lo svolgimento di altre attività, o perché i loro 400 euro sono comunque positivamente confluiti in un reddito familiare in grado di permettere loro di andare avanti. Non conosco le storie specifiche di queste persone, e quindi non so dire come ciascuna di loro sia riuscita ad "accomodare" questo piccolo tesoretto mensile nel contesto delle proprie necessità di sopravvivenza. Posso solo immaginare che sarà stata molto dura per loro: e questo è per me un motivo in più di solidarietà e vicinanza.
Ma c'è un ma (ed ecco che da qui prende avvio la parte antipatica del discorso, quella che non piacerà né agli scontrinisti né a molti altri): il fatto che per anni queste persone inquadrate come volontari abbiano operato di fatto come lavoratori effettivi, percependo solo un rimborso spese, non ha mai dato loro nessuna titolarità a sperare di essere assunti in biblioteca, né oggi – dopo la denuncia pubblica – dà loro nessun diritto di essere indennizzati con una regolare assunzione. Perché l'accesso alla Pubblica Amministrazione deve avvenire solo per concorso pubblico, e non già per condono di vere o presunte irregolarità. La pratica del volontariato non deve creare speranze o attese che non hanno ragione d'essere: non è "mettendo un piede" in biblioteca che si può legittimamente immaginare di avere qualche titolo per poterceli mettere tutt'e due. Il volontario potrà far valere la sua esperienza, che sarà valutata positivamente nell'ambito del CV presentato, ma che certo non potrà essere giocata come una scorciatoia per accedere all'obiettivo.
A pensarci bene, la scelta di Franceschini di "licenziare" gli scontrinisti, ovvero di interrompere l'esperienza di volontariato così come era condotta, è stata l'unica possibile, e soprattutto è stata una scelta giusta, per quanto impopolare. Perché gli scontrinisti hanno impostato male la loro battaglia: non hanno agito da "volontari veri" che hanno denunciato all'opinione pubblica e al Ministero di svolgere attività professionali che avrebbero dovuto essere coperte da personale inquadrato nell'organizzazione. Non hanno creato un movimento di opinione per chiedere al ministro più assunzioni di personale necessario a coprire i vari turni di servizio, in modo tale da poter tornare a fare correttamente il proprio lavoro volontario.
Sono stati dentro fino in fondo alla contraddizione che hanno accettato per poi denunciare il fatto che non avevano diritto a ferie, recuperi, maternità, ma che dovevano abbassarsi a raccogliere scontrini qua e là per raggiungere la quota di 400 euro mensili per poter documentare la loro richiesta di rimborso spese (aggiungendo illegittimità ad illegittimità). Ma di questa contraddizione tra lavoro e volontariato sono rimasti vittime due volte, perché la loro presenza fisica accanto al personale di ruolo non è stata mai sufficiente a dare vita a ciò a cui aspiravano davvero: un posto di lavoro regolare, con tanto di diritto a ferie, recuperi e maternità. Proprio per questo ora non avranno neppure i 400 euro di rimborso spesa.
Voglio sperare che questa vicenda si chiuda in via definitiva nel modo migliore per la Nazionale e per i cittadini italiani: attraverso un ripensamento dell'apporto dei volontari (che dovranno essere volontari veri) ed un ampliamento dell'organico del personale dipendente, tramite una tornata di concorsi che permetta agli scontrinisti di partecipare (assieme a tutti gli altri candidati), facendo valere l'esperienza accumulata.
Se c'è qualcosa che mi sento di segnalare come "lezione da imparare" da questa (brutta) vicenda, è proprio la percezione della "pericolosità" che l'introduzione dei rimborsi spese porta con sé nella gestione del contributo dei volontari alla vita di una istituzione: una pericolosità che cresce al crescere dell'importo riconosciuto come rimborso, fino al punto da essere scambiato per uno stipendio attorno al quale costruire una battaglia di rivendicazione.
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