#bibliotechedaraccontare
Il primo giorno di lavoro dopo le ferie porta sempre con sé una fatica e una tensione particolari. Non è vero che la testa è ancora in vacanza: anzi, ributtarsi nel vortice delle attività ha un effetto rigenerante e energizzante, almeno su di me. La fatica e la tensione nascono essenzialmente dal fatto che sulla persona rientrata in servizio vengono a gravare le tante istanze di chi ha atteso per giorni questo momento per trovare ragione ad un proprio problema, per attivare un nuovo percorso, per ricevere risposte che non erano state date in precedenza. E certo io non ho fatto eccezione a questa regola, in una giornata che è stata di taglia XL (dalle 8.45 alle 19.20), ma che certo non è stata sufficiente per istradare tutte le sollecitazioni in attesa. Raccontare una giornata come questa non è facile: da dove cominciare? Cominciamo dai numeri. 120 circa le mail gestite e istradate fuori dall'inbox, 54 le mail scritte in risposta alle diverse richieste pervenute, una decina le fatture liquidate, altrettante le firme messe sugli atti di affidamento per l’acquisto di beni e servizi, una delibera firmata per conto dell’ufficio cultura, in assenza del dirigente titolare. 38 telefonate. 4 riunioni, di cui una con lo staff della biblioteca per fare il punto delle necessità di manutenzione da richiedere nelle prossime settimane. La squadra della San Giorgio e della Forteguerriana ha marciato bene in questi giorni, e la mia assenza si è fatta sentire il giusto. Il lavoro è filato liscio, tutti hanno fatto il loro dovere: a me non resta oggi che ricevere aggiornamenti su dove siamo arrivati e che cosa manca ancora da fare sui vari fronti. Ho bevuto un caffè in una pausa di tre-minuti-tre presa a metà mattina; ho mangiato un panino con la mortadella, buonissimo, tenuto con la mano sinistra mentre la mano destra digitava al computer. La mela destinata alla merenda è rimasta dimenticata nel suo sacchetto bianco: lontana dagli occhi, lontana dalla bocca. Ho bevuto una sola bottiglia d’acqua: il condizionatore per fortuna funziona benissimo, e non c’è bisogno di idratarsi troppo.
Sono stata serena e attiva tutto il giorno, saltabeccando da un progetto all’altro con un ritmo dettato – appunto – dalle caratteristiche di questo giorno speciale, in cui tutti sembrano volere una risposta immediata. La parte del leone, però, l’ha fatta oggi il programma del III quadrimestre 2017, destinato ad andare in stampa tra poche ore. Sono mesi che lavoriamo tutti su questo elenco di iniziative e attività, ma fino all’ultimo c’è qualcosa da cambiare, da aggiungere, da spostare. Qualcosa che ci dimentichiamo, che abbiamo digitato male, che è incompleto: e noi non possiamo certo permetterci dimenticanze, errori di battitura o lacune informative, in un anno in cui stiamo dando davvero il massimo per far fare bella figura alle nostre biblioteche. Mi occupo in modo particolare del mese di settembre: oltre duecento eventi, tra cui alcuni molto importanti, da mettere in fila, allineare e tirare a lucido. Alcuni di questi eventi saranno la mia gioia e la mia fatica nei prossimi giorni: ci sarà tempo per raccontarli più in dettaglio. Speravo di riuscire a chiudere anche ottobre, ma non c'è stato il tempo materiale. Per fortuna le caselle sono quasi tutte piene: si tratta di lavorare di fino a sistemare gli ultimi dettagli e numerare progressivamente gli eventi, per dare maggiore visibilità al grande slancio d'azione che stiamo portando avanti. Quello di settebre-dicembre è il terzo calendario quadrimestrale che quest'anno abbiamo realizzato, grazie ad uno speciale finanziamento regionale che ci ha permesso di stampare quasi 30.000 copie dei nostri famosi "lenzuolini" con cui abbiamo tappezzato la città: manifestoni 70×100 ripiegati, nei quali abbiamo riportato in ordine cronologico i tanti motivi per usare le nostre biblioteche. Al 30 settembre siamo a circa 1500 "buoni motivi" già calendarizzati: e ci sono altri tre mesi di opportunità ancora da numerare. Uscendo dall'ufficio, mi figuro la scaletta di domani: ancora centratura sul calendario, almeno ottobre e novembre, e un po' di saltabeccamenti dall'uno all'altro progetto in programma, almeno per tenere sotto controllo gli interlocutori più ansiosi e desiderosi di una risposta immediata alle proprie sollecitazioni. In momenti come questi, sogno di poter lavorare 10 ore ininterrotte, senza fare i conti con "tutto il resto", per poter chiudere definitivamente il calendario e mandarlo in stampa in un sol botto; ma i sogni sono diversi dalla realtà, e mi dovrò accontentare di piccoli passi.
Sono contenta di questa giornata piena: la stanchezza si fa sentire, ma la prospettiva di una serata di chiacchiere in compagnia di un gruppo di amiche mi scalda il cuore e mi ricarica subito le batterie. Buonanotte, calendario: ci rivediamo domani!
Oggi è il giorno di rientro al lavoro, dopo due settimane di vacanza, di cui una trascorsa felicemente in Calabria con Antonio. Non mi vergogno affatto ad ammettere di essere rientrata volentieri: se è vero che mi piace riposare, fare shopping e tenere sgombro il cervello dalle beghe quotidiane, è altrettanto vero che mi sento molto appagata per il lavoro che faccio, ed ogni giorno sono grata al mio destino per avermi offerto la opportunità straordinaria di fare un lavoro che amo moltissimo.
E' un vezzo molto comune quello di denigrare le proprie condizioni di lavoro, anche quando sono particolarmente fortunate: raro incontrare persone che non si lamentano di colleghi e superiori, della paga o della qualità del caffè alla macchinetta. E' invece molto frequente imbattersi in conversazioni nelle quali prevale lo spirito del "forza che siamo quasi a venerdì", come se il lavoro fosse una maledizione da espiare, ed un lungo calvario in attesa di una salvezza destinata a durare solo poche ore.
Lavorare volentieri, e con soddisfazione, non risulta oggi molto fashion; ma io non demordo, e affermo con forza il mio diritto ad essere felice del mio lavoro. Essere felici del proprio lavoro per me non vuol dire godere gli immeritati benefici di una sinecura (come quelli di chi riesce a "imboscarsi" senza far corrispondere allo stipendio una vera prestazione professionale), ma al contrario vuol dire dare il meglio di sé nello svolgimento dei compiti assegnati e nell'esercizio delle proprie responsabilità. A volte vuol dire faticare molto, ma senza sentire la fatica, addirittura col sorriso sulle labbra e la mente aperta a ciò che accade.
Trovo particolarmente irritante l'atteggiamento di chi, a fronte di una posizione professionale di tutto rispetto, anche sul versante del corrispettivo economico, non perde l'occasione di lamentare le difficoltà che ogni giorno si trova ad affrontare: come se fosse Atlante a reggere da solo il mondo, come se non avesse l'opportunità di licenziarsi l'indomani e, con il ricavato dell'immane sacrificio, andare ad aprire un chiosco di bibite su una spiaggia del Madagascar. La mia esperienza personale (che non fa testo, ovviamente) mi suggerisce che i lamenti risultino inversamente proporzionali al contributo che il produttore della lamentazione offre al miglioramento effettivo del mondo. Ma è solo una intuizione un po' cattivella.
Io riparto con un sorriso a trentadue denti, felice della vacanza trascorsa, ma altrettanto carica per gli impegni che mi si prospettano davanti: bentrovata quotidianità, bentrovato mondo ingarbugliato. Vieni qui, che ti sgarbuglio io!
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Il rientro al lavoro, dopo le vacanze di inizio anno, è veramente molto impegnativo: numerose sono le attività che oggi sono chiamata a istradare, affinché possano svolgersi nel rispetto dei calendari concordati con i diversi referenti. L'obiettivo di oggi è quello di dare le gambe ai materiali informativi e pubblicitari di accompagnamento di alcuni corsi di educazione permanente rivolti al pubblico della Biblioteca San Giorgio: un corso dedicato ai genitori che vogliano aiutare i propri figli ad acquisire un efficace metodo di studio (vedi), un corso individuale per gli studenti (vedi), uno sull'etica dei valori familiari (vedi) e altre iniziative su cui mi metto alacremente a lavorare, rendendomi conto che mancano davvero solo pochi giorni dall'inizio.
In effetti il mese di dicembre, che avrebbe dovuto essere incentrato sulla promozione di questi corsi, si è invece caratterizzato per un fortissimo impatto degli aspetti amministrativi: innumerevoli le ore trascorse a istruire procedure comparative per l'acquisto di beni e servizi, a predisporre atti amministrativi, ad alimentare "la bestia burocratica" che voleva la sua dose di carne fresca per poterci permettere di utilizzare i cospicui finanziamenti regionali ricevuti tramite la rete.
Da qui l'effetto tragico della mia assenza nei primi giorni dell'anno. Un effetto a cui mi sbrigo ad oppormi in queste ore, recuperando rapidissimamente tutto il tempo non lavorato e mettendo i cittadini in condizioni di partecipare a questi incontri programmati nei mesi scorsi.
Mi viene però da pensare che una posizione di lavoro debba essere concepita e commisurata, in termini di carico di lavoro, ai tempi standard previsti dagli accordi nazionali: 36 ore di lavoro settimanali, 32 giorni di ferie, un altro piccolo tributo di assenze per malattia o altre esigenze personali. Invece nel 2014 ho lavorato 380 ore in più del dovuto: un quadrimestre virtuale di lavoro aggiuntivo (e non retribuito) che è servito a far stare dentro la settimana lavorativa quelle incombenze che eccedevano il normale orario di applicazione.
I miei sentimenti di colpa per l'assenza di questi giorni meritano di placarsi: le ferie sono un diritto inalienabile, lo dice la Costituzione Italiana all'art. 36: "Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi". Quindi, va bene mettere le gambe in spalla e pedalare, ma attenzione a non provare sentimenti di colpa del tutto ingiustificati.
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Rientro al lavoro dopo quasi un mese di lontananza, sia pure discontinua: tra vacanze natalizie e ferie, mi sono presa tutto il tempo per scrivere il mio libro, e ora sono felice di riprendere la vita normale.
Devo dire la verità: ho trascorso un periodo davvero molto particolare, quasi "sabbatico": mi alzavo la mattina alle 7.30, facevamo colazione, ci preparavamo, accompagnavo Antonio al lavoro, poi tornavo a casa, mi prendevo un altro bel caffè, e poi via: apertura del computer e scrittura. Mi fermavo verso mezzogiorno, per mangiare qualcosa, un altro caffè, un'occhiata alla posta elettronica, e poi di nuovo a scrivere fino verso le sei.
Poi uscivo per andare a prendere Antonio al lavoro, un saluto agli amici qui sotto, poi di nuovo a casa per dare il via alla lavatrice, o metter su l'acqua per la pasta. E dopo cena, un'altra toccatina di scrittura, e poi riposo.
Niente problemi, niente beghe, niente telefonate (o quasi): un mondo quasi… irreale.
Proprio in questa fantastica cornice, sono bastati più o meno dieci giorni netti per scrivere un libro. Che evidentemente era tutto "già scritto", e bastava solo tirarlo fuori dalle dita. Vivere così sarebbe assolutamente fantastico. Salvo poi schiantare completamente dalla noia nel giro di due-tre mesi.
Insomma, eccomi di nuovo in ufficio, felice di incontrare i colleghi, felice di fare i conti con le cose che non tornano, i soldi che non ci sono, le scadenze che incalzano, le contraddizioni che non si sanano… MMMMM, il sapore della vita: altro che Amaro Montenegro!
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