L'anno 2017 sta per volgere al termine, ed è quindi arrivato il momento di attivare quelle riflessioni e valutazioni che permettano di fare un bilancio, sicuramente parziale e soggettivo, di come sono andate le cose. Inutile ricordare che quest'anno è stato per Pistoia e anche per me dal punto di vista professionale un anno molto particolare, e sotto certi rispetti irripetibile. Ancora mi mancano alcuni dati statistici che mi potranno essere di aiuto per connotare questa particolarità: ad esempio il numero degli atti amministrativi e delle gare a cui ho lavorato. Non stento ad immaginare che tale numero possa essere due o tre volte superiore a quello degli anni precedenti. Una volta che tutti gli atti saranno compiuti (ed ormai è questione di pochi giorni), anche i conti potranno essere fatti e le percezioni saranno messe a confronto con i dati di fatto.
Per adesso, mi limito a qualche considerazione generale: una sorta di "riscaldamento" rispetto all'articolo che dovrò scrivere nelle prossime settimane per la rivista professionale "Biblioteche oggi"; nella quale sono chiamata a presentare alcune considerazioni a consuntivo dell'anno appena concluso.
La prima considerazione che mi sento di fare è che il 2017 è stato un anno di quasi 1000 giorni: nel senso che il lavoro vero e proprio per Pistoia capitale non è cominciato col 1° gennaio 2017, ma è partito quasi un anno prima, il 26 gennaio 2016, quando appunto Pistoia è stata nominata capitale della cultura. Da allora è cominciata una rumba di contatti, incontri, trasmissioni televisive, attività, progetti su cui sono stata costantemente impegnata, in aggiunta alle attività ordinarie, e che hanno idealmente anticipato di quasi un anno l'evento in sé. Dall'altro capo della linea temporale, col 31 dicembre 2017 non solo non termina l'effetto del 2017, ma addirittura per certi versi deve ancora cominciare a farsi sentire: perché alcune delle azioni dispiegate nel corso dell'anno daranno i suoi frutti nei prossimi mesi e forse per tutto il 2018. C'è dunque un prima e un dopo che rischiano di essere ignorati da chi ha assistito da fuori a ciò che è accaduto, ma che invece hanno un peso importantissimo nella storia di questo evento, almeno per quanto riguarda le biblioteche cittadine.
Una seconda considerazione riguarda gli strumenti tecnico-amministrativi che abbiamo potuto usare. Anche in questo caso si tratta di aspetti perlopiù ignoti a chi non rientra nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Alcune "rigidità del sistema" (chiamiamole così) possono far comprendere meglio il perché di certi comportamenti finali che, in assenza di spiegazioni comprensibili, potrebbero essere attribuite alla follia dei bibliotecari. Come ad esempio non avere a disposizione risorse per l'acquisto di libri fino a novembre, poi a novembre ricevere risorse non irrilevanti, e fare le corse per gestire tali acquisti in tempo per la rendicontazione di spesa da presentare, fatture emesse alla mano, entro la fine dell'anno. Come rimanere senza cibo per sei giorni e mezzo, e poi la domenica sera spararsi un menù di nozze scegliendo vorticosamente da un buffet preso d'assalto da altri affamati. Per non parlare della pazienza infinita che occorre sempre, ma che occorre ancora di più quando hai bisogno di raggiungere velocemente gli obiettivi prefissati, e ci sono invece mille occasioni per cui ogni pratica trovi un inghippo, uno scoglio, uno stop, un ritorno indietro. E' come pulire la Sfinge con lo spazzolino da denti – uso il bel paragone citato da Papa Francesco in un contesto diverso in occasione di un suo discorso (non me ne voglia Sua Santità per il prestito), ma a forza di spazzolate, piano piano alla fine della Sfinge ci si arriva. Magari sui gomiti, ma ci si arriva. Ci vorrebbero strumenti burocratici più "attestati", specialmente per la gestione dei contratti sotto i 40,000 euro, in modo tale da non rimanere inutilmente vincolati alle rigide prescrizioni del Codice dei Contratti, pensato per contratti di ordine superiore. Il che non vuol dire, ovviamente, fare come ci pare, ma semplicemente fare ciò che è corretto, e non ciò che la prudenza consiglia di fare, in assenza di istruzioni più chiare, prendendo a riferimento situazioni di maggiore complessità e regolazione.
Queste sono due prime considerazioni che mi sento di abbozzare qui, in attesa di una riflessione più di merito. E per ora è tutto!