Oggi è stato un sabato parzialmente diverso dal solito: invece di stare in ufficio, sono rimasta a casa, ma ho dedicato gran parte della giornata alla cura di alcuni atti amministrativi e alla stesura di alcuni testi utili per la "chiusura" dei numerosi affari pendenti: la conclusione del mandato amministrativo del Sindaco Renzo Berti, che si formalizzerà con le imminenti Elezioni amministrative, rende necessaria una operazione di "spegnere e riaccendere" che chiude un doppio mandato e ne apre un altro. Moltissime le cose ancora sospese, anche in ragione di una accelerazione che le diverse faccende hanno subito proprio nelle ultime settimane.
E' tutto un fervore di eventi e di manifestazioni, di incontri e di "chiusure" di impegni: siamo davvero chiamati ad un supplemento di sforzo per poter stare al passo con la velocità del momento. Se poi penso alla recente crescita delle mie responsabilità, ecco che il gioco è fatto, ed è facile spiegare, appunto, il perché di tanto lavoro a casa.
Devo ammettere che lavorare da casa è molto più efficiente che lavorare in ufficio: o almeno risulta più efficiente a me, nel senso di rispondere meglio alle mie esigenze di dare fondo, a furia di crocette, alla to do list del giorno. In realtà, il concetto di "efficienza", per chi – come me – si ritrova a decidere sul lavoro degli altri e soprattutto a coordinarlo, non è tanto terminare la lista delle cose che mi sono messa in testa di fare in un qualunque giorno di lavoro, quanto piuttosto risolvere i problemi altrui, stimolare l'avanzamento dei progetti, controllare le diverse attività in corso ed evitare che vengono a crearsi blocchi o ristagni.
Il bello e il brutto del mio lavoro sta proprio nel fatto di svolgersi CON e PER gli altri, e di non esaurirsi nello svolgimento concreto di attività singole: quelle che, in effetti, risultano "visibili", misurabili, e perciò le uniche ad essere reputate davvero utili.
In questo senso, oggi mi ritaglio una situazione di lavoro del tutto eccezionale, caratterizzata dall'assenza di contatti con colleghi e collaboratori e dall'azzeramento delle relazioni con i cittadini: in una sorta di beata solitudine, ecco che metto il boost nella produzione di tutti quegli "oggetti" (prevalentemente testi, nel mio caso) che nella normale situazione lavorativa è molto difficile poter scrivere, data la prevalenza assoluta del lavoro di relazione (quello che sembra improduttivo, ma è lontano da essere tale).
Il mio ufficio domestico è ben organizzato: scrivania ampia e sgombra, computer potente, stampante, scanner e tutti gli altri ammennicoli elettronici perfettamente funzionanti, internet a palla, archivi di dati magicamente raccolti in quelle meravigliose invenzioni che sono le pennine usb.
Ed è quindi facile per me essere produttiva, e non provare rimorsi per non essere tornata a Pistoia per adempiere ai miei compiti.
Un tempo si favoleggiava sul successo del telelavoro: in effetti la scelta del lavoro da casa è rimasta del tutto di nicchia, anche se, come ha scritto Aurelio Magistà in un suo bell'intervento su "Repubblica" dal titolo L'ufficio fatto in casa, la previsione è risultata del tutto azzeccata. Il paradosso, infatti, sta proprio qui: se da un lato il lavoro "ufficiale" non si è affatto spostato dalle sedi delle organizzazioni e delle aziende, dall'altro lato è cresciuto enormemente – posso testimoniare! – il lavoro non ufficiale: quello che ci porta a continuare ad occuparsi di "roba di lavoro" anche a casa, la sera, o nel week-end, semplicemente perché per moltissimi lavori (i più fortunati, come il mio) non c'è più alcuna separazione tra vita e lavoro.
Proprio quando il lavoro manifesta complessivamente la sua assenza in modo stridente e socialmente devastante, ecco che nel contempo in molte situazioni manifesta una presenza costante nella vita di molte persone.
E' questo il caso dell'ozio creativo, quando il lavoro per produrre ricchezza, lo studio per produrre conoscenza e il gioco per produrre benessere si ibridano e si confondono, consentendo – come ci ha insegnato a riconoscere il sociologo Domenico De Masi, l'atto e il prodotto creativo.