Abbiamo trascorso l'intera giornata al mare, regalando alla nostra pelle una inusuale colorazione nocciola. La compagnia è allegra e divertente, il mare è una tavola, e stare nell'acqua è un dovere, oltre che un piacere. Ma, accanto ai tanti esercizi sperimentati (con inequivocabile insuccesso) per rimanere a galla – non dico per nuotare -, mi prendo anche il tempo per una sana e piacevole lettura. Lo faccio con un libro assolutamente unico: Io e Dewey, di Vicki Myron, che mi è stato regalato lo scorso natale da L. & L., una coppia di carissimi amici pistoiesi. La storia è conosciutissima, al punto da fare di Dewey uno dei gatti più famosi al mondo, con tanto di sito web personale e di pagina Facebook: in un gelido mattino del 1988, nella cassetta delle restituzioni della Biblioteca pubblica di Spencer, nello Iowa, viene trovato – accanto ai libri – un minuscolo gattino intirizzito dal freddo. Le bibliotecarie, ed in particolare la direttrice Vicki Myron, decidono di adottare il gattino, destinato a diventare un vero e proprio gatto di biblioteca. Grazie a Dewey, tante persone – fuori e dentro la biblioteca – troveranno l'occasione per un sorriso; Spencer sarà conosciuta in tutto il mondo, e soprattutto i suoi abitanti ritroveranno la forza e l'orgoglio per superare le difficoltà, andare oltre la crisi economica che proprio in quegli anni si fa sentire, far valere la speranza nel futuro.
Per me che amo i gatti e le biblioteche nella stessa misura, il libro è un vero e proprio toccasana per l'anima. Essendo mio, e non della biblioteca, l'ho riempito di orecchie per segnare le pagine che mi hanno ispirato di più, e che – non appena sarò rientrata a casa – trascriverò nel mio quaderno delle letture.
Un gatto, così come una biblioteca, possono fare molto per una comunità: possono aiutare le persone a superare i propri problemi, o almeno vederli da un altro punto di vista. Gatti e biblioteche sanno cambiare la vita delle persone.
Un libro che fa piangere e che fa ridere: mi commuovo più volte, durante la lettura, facendo finta che la sabbia mi sia finita negli occhi.