Confesso di amare le raccolte punti. Mi piace attaccare i bollini sulle tessere e poi ritirare i premi in palio, anche se ho qualche consapevolezza del fatto che a volte (ma non è questo il caso) ho finito con lo stra-pagare l'oggettino in regalo. Anche stavolta mi sono lasciata catturare dalla bella campagna della CONAD, che ha proposto alcuni articoli della Kartell come premi della sua raccolta-punti.
Ho religiosamente raccolto gli 80 punti necessari per ricevere Bourgie, una grande lampada in plexiglass, che fin dal primo giorno ho immaginato troneggiare nel mio salotto.
Vado una volta, due, tre, quattro a fare la spesa al supermercato di viale Adua, e non trovo mai quel tipo di lampada: ci sono le coppette, i vassoi, i sottopiatti, ma… niente lampada agognata. Chiedo: i commessi mi dicono che ne vengono mandate solo poche alla volta e che devo provare la prossima volta. Io provo, provo, provo, ma niente. Chiedo se posso prenotarne una per quando arriva, ma mi dicono di no: le prenotazioni inizieranno solo a raccolta finita. Per adesso mi devo accontentare dei viaggi a vuoto. Menomale che a fare la spesa un paio di volte alla settimana ci capito, per cui i viaggi completamente a vuoto non saranno.
Sabato scorso il miracolo: vedo un bel collo ancora confezionato nella plastica protettiva con almeno 6 lampade Bourgie, sistemato accanto agli altri premi a disposizione. Non sto nella pelle: finalmente un po’ di fortuna, dopo così tante attese deluse.
Chiedo ad un commesso, che gentilmente, con un taglierino, rompe la plastica adesiva e mi consegna uno degli scatoloni con la lampada. Mi sento come un bambino di cinque anni con il regalo di natale tra le braccia. Non vedo l’ora di sistemare la lampada in soggiorno e farla vedere alle mie amiche del cuore: la lampada è un po’ anche loro, visto che mi hanno regalato i loro punti per poter raggiungere l’ambito traguardo.
Vengo fermata dopo poco da un altro commesso, che mi prende la scatola dalle braccia e la riporta assieme alle sorelle rimaste intrappolate nella plastica: niente, non posso prendere la lampada nonostante abbia la scheda in regola, perché – dice – ha avuto disposizioni tassative che fino a lunedì mattina le lampade non possono essere distribuite. Il suo tono è inflessibile, ma – ammetto – per addolcirmi la pillola, dice che gli dispiace, ma deve fare i conti con i suoi superiori. Io chiedo di saperne di più di tali disposizioni superiori: quando posso venire a ritirare la lampada, allora, visto che adesso non la posso prendere? La risposta è chiara: lunedì mattina, all’apertura.
La mia agenda ha un sussulto: lunedì è vicino. Arriverò al lavoro con un po’ di ritardo, ma non mi farò certo fermare da niente.
E così arriva lunedì mattina: alle 8.40 sono nel centro commerciale, già gremito di clienti. Le lampade non sono più al loro posto. Mi rivolgo al banco informazioni, dove trovo una signora non particolarmente accogliente. Chiedo. Mi dice che le lampade non sono ancora arrivate. Replico: le ho viste sabato, mi è stato detto di venire stamani a ritirarle.
Lei si stizzisce, e anch’io non sono da meno:“Si vede che il collega ha sbagliato. Quelle lampade sono già prenotate da altri clienti. Lei ce l’ha la prenotazione? No? E allora vada alla cassa a fare la prenotazione”.
Il tono non è dei migliori, ma ho visto di peggio nella vita.
Faccio la fila per fare la prenotazione. Le casse hanno già la coda e sono appena le 8.45.
Arrivata al mio turno, presento la card, la tessera coi punti e chiedo di prenotare la lampada. La signora alla cassa non sa come si fa: cerca un po’ tra le sue carte, trova un foglio di istruzioni e si mette a leggerlo parola per parola, ad alta voce, come fosse la prima volta che fa un’operazione del genere. Nel frattempo i clienti in coda dopo di me cominciano a sbuffare.
Dopo avere compitato le istruzioni, riesce finalmente a far uscire dalla macchinetta lo scontrino della prenotazione a mio nome. Il più è fatto, ora devo solo aspettare, mi dice.
“Ma aspettare quanto?”
“Mah, ripassi tra una decina di giorni”.
“Ma intanto pago la quota a mio carico?”
“No, la pagherà quando riceve la lampada”.
“ E come faccio a sapere quando tornare?”
“Vada dalla signora bionda al box informazioni”.
Devo tornare dalla tipa di prima: l’ansia mi sale al solo pensiero di fare di nuovo i conti con lei, ma sono già in ritardo al lavoro (ho chiamato per avvisare che arriverò più tardi), e voglio portare in fondo questa storia, costi quello che costi.
La tipa mi guarda, guarda lo scontrino e dice: “Deve pagare la quota a suo carico: 75 euro”.
Io dico: “La sua collega mi ha detto che devo pagare quando ritirerò la lampada”.
“E si vede che la collega si sbaglia”.
Usa la stessa espressione di prima: e si vede che le piace. Intanto la collega dalla cassa mi è venuta dietro e – poveretta – si mette subito al mio soccorso: “Gliel’ho detto io che non doveva pagare, ma come funziona questa cosa?”. Le due confabulano, dopo di che la cassiera mi invita a tornare alla sua cassa. Chiama al telefono un altro collega, che le risponde a gesti dal box informazioni, creando un siparietto abbastanza divertente di braccia alzate tra sì e no. Poi il collega arriva a grandi falcate, e i due si chiariscono del fatto che pagherò solo quando (e se) ritirerò la lampada, a Dio piacendo.
“Mi raccomando non perda lo scontrino, perché quello è l’unico documento col quale potrà ritirare la lampada, sennò niente”- mi dice l’uomo. Come se non ci fossero tracce elettroniche di quello scontrino. E io, con aria impaurita, infilo lo scontrino così prezioso dentro il portafogli nella zona dove tengo la patente e la carta d’identità: un’altra prova per raggiungere il Paradiso della Bourgie.
Riuscirò mai a ritirare la lampada?
Chiedo: “Ma quando posso tornare?”
“Mah. Provi tra una decina di giorni”.
“Come PROVI?” – dico io – “Ma se ho prenotato, ci sarà una corrispondenza tra la lampada e il mio nome”.
“No, le mandano a caso, le lampade”.
“Oh, ho capito. Quindi io passo, provo, poi ripasso, riprovo… e così finché non trovo la lampada”.
“Sì, infatti”.
Uomini e donne della Conad del viale Adua: ma un po’ di customer satisfaction ve l’hanno mai insegnata? Mi viene in mente che, se l’uomo Conad della pubblicità, invece di alzarsi di notte a tastare le mele mature, rimanesse a letto e di giorno facesse un corsettino al personale al pubblico, non sarebbe davvero male. Perché ci vuole poco per perdere punti nella considerazione dei clienti.
Esco dal centro commerciale piuttosto seccata, e vado al lavoro con la prospettiva di avere perso oltre mezz’ora del mio tempo senza avere ottenuto alcun risultato utile. Mi sento trascurata come cliente da chi non è riuscito ad avvicinarsi nemmeno lontanamente allo slogan “Persone, oltre le cose”.
Sono davvero arrabbiata. Tra un po’ mi passerà, ma in questo momento i miei pensieri su Conad sono tutti di segno negativo. E sono certa che, se mai un giorno riuscirò a entrare in possesso di quella cavolo di lampada, tutte le volte che la guarderò mi verrà in mente questa storia deprimente, grazie alla quale il personale ha fatto tutto, ma proprio tutto, per far perdere punti alla reputazione dell’azienda. Complimentoni!