Sconfortante la situazione delle biblioteche domestiche in Italia: circa il 10% delle famiglie italiane non ha in casa neppure un libro; quasi un altro 30% arriva ad occupare con i propri libri all’incirca un ripiano di un metro; un altro 35% delle famiglie italiane si colloca tra i 25 e i 100 libri (praticamente un paio di ripiani di un comune mobiletto da soggiorno); quasi il 12% conserva tra 100 e 200 libri (l’equivalente di una mezza Billy di Ikea), e poco meno del 15% delle famiglie supera i 200 libri. Ma lo sconforto si aggrava ulteriormente, quando il dato delle biblioteche domestiche viene incrociato con la residenza geografica: basti pensare che il dato medio sulle famiglie prive di biblioteca domestica nasce dalla composizione compensativa di estremi molto lontani tra loro, come il 20,1% della Sicilia contro il 2,5% del Trentino-Alto Adige.
La ricerca Istat su cui sto lavorando in questi giorni (ecco qui il link: http://www.istat.it/it/archivio/62518) fa emergere come la propensione alla lettura risulti evidentemente legata alle opportunità offerte dal contesto familiare: oltre il 90% dei non-lettori si colloca in famiglie prive di libri, mentre per contro quasi l’80% dei lettori vive in case dove la presenza del libro è maggiormente sentita ed impatta sui comportamenti quotidiani. Le scelte personali in controtendenza sono ovviamente rilevate dalle statistiche, ma risultano comunque minoritarie (come nel caso del 18,8% di non-lettori che vivono in case piene di libri) o addirittura eccezionali (come lo 0,2% di lettori forti, in grado di “sopravvivere” in case completamente sguarnite di libri): come a dire che – fatta salva la scelta individuale di non leggere, pur essendo circondati da libri e lettori in famiglia – la pratica della lettura alligna meglio in un contesto complessivamente favorevole, dove tende a ricercare e produrre a propria volta effetti compositivi virtuosi, piuttosto che sopravvivere con fatica in situazioni non facilitanti.
Analogamente, risultano forti i legami tra i comportamenti di lettura dei genitori e quelli dei figli: vivere con genitori che hanno maturato l’abitudine a leggere offre ai ragazzi l’evidente agio di sviluppare un approccio positivo nei confronti dei libri, per l’effetto mimetico ben noto ai bibliotecari, agli insegnanti e a tutti gli operatori impegnati a ricercare il coinvolgimento delle famiglie nelle diverse occasioni di animazione della lettura. I ragazzi fra i 6 e i 14 anni, infatti, sono lettori nel 72% dei casi quando entrambi i genitori sono lettori, scendendo al 64,5% quando è lettrice solo la madre, e al 60,7% dei casi quando a leggere è solo il padre (evocando una maggiore incisività femminile nella “trasmissione” del piacere della lettura). Per contro, quando nessuno dei genitori legge, solo il 39,2% dei ragazzi trova la forza individuale di bucare la superficie spessa della non-lettura.
I dati raccolti ci raccontano un Paese nel quale i destini individuali di lettore (e – vale la pena sottolineare – anche di cittadino) sono tragicamente schiacciati sulla fortuna socio-economica della famiglia d’origine (alla quale è notoriamente legato il successo nella carriera scolastica): ecco dunque che risultano lettori l’81,1% dei laureati, il 58,4% dei diplomati, il 38,5% dei possessori di licenza media e solo il 27,9% dei possessori di licenza elementare. Siamo di fronte ad una vera e propria sinfonia di disuguaglianze, capaci di stratificarsi e comporsi tra loro, potenziandosi vicendevolmente in un “gioco” che esce dalla statistica per farsi materia pulsante di battaglia civile, politica e morale. Perché non si può vivere bene là dove non c’è margine per la mobilità sociale, economica, culturale e di destino.