Stasera ci guardiamo Paradiso amaro, con protagonista un George Clooney dalla mascella fissa e dallo sguardo imbambolato: ovvero il George Clooney di sempre, capace di una sola espressione nella vita. Ma questa volta l'espressione ebete e fuori dal mondo che contraddistingue uno dei belloni più vezzeggiati del cinema americano si attaglia bene al personaggio, un uomo tutto preso dal lavoro e ora colpito in piena faccia da due novità sconvolgenti: il coma della moglie, che lo riporta a focalizzare una realtà familiare data per scontata, e la scoperta del tradimento di lei.
Questa volta mi sento di dare un bel "sei più" o "sette meno meno" (what else?) al grande George, perché almeno si fa vedere bruttino, scarmigliato, in regime di sottrazione. Alcune inquadrature dal basso ci fanno scoprire la sua pelle cascante. Che cosa si vuole di più da un divo?
La storia è carina, anche se stravista: lui è tutto preso dal lavoro, per cui non sa niente delle figlie che la moglie ha tirato su praticamente da sola, senza farsi però mancare un amante in grado di comprenderla e tutto il resto. La figlia maggiore è fuori di testa per tutte queste irregolarità rispetto al canone educativo della famiglia perfetta, poi c'è l'incidente che fa da "trauma destinato a far crescere tutti i protagonisti, lasciandoli diversi da prima", e poi ci sono i dettagli secondari: la storia della terra incontaminata che i cugini di George vogliono vendere, permettendone la trasformazione in resort turistico, il "ganzo" della moglie che fa l'agente immobiliare, e ha anch'egli una famiglia da scoprire, il bel panorama delle Hawaii, dove si può vivere sempre in bermuda (come fa George), salvo poi prendersi il proprio pezzo di dolore (da qui il bislacco titolo italiano "Paradiso amaro", molto meno efficace dell'originale The Descendants).
Insomma, niente di che. Ma la pellicola scorre, e io non mi sono addormentata neppure una volta.