Sono malata, e – non potendo dedicarmi a questioni più interessanti – mi diverto a dividere l'universo dei miei contatti in due grandi categorie: quelli che, di fronte all'informazione sull'argomento, mi chiamano per sapere come sto, o anche si guardano dal chiamarmi per motivi di lavoro, rinviando le proprie richieste solo di qualche giorno. E quelli che invece (per fortuna sono una minoranza, anche se agguerrita), non trovandomi in ufficio, e non avendo il numero del mio cellulare privato, fanno i salti mortali per rintracciarmi e sottopormi la propria questione, indipendentemente dal fatto che non stia bene. Tanto è solo un minuto. Un minuto, per carità, che non si nega a nessuno, neppure quando si ha la febbre alta.
E' davvero curioso come in alcuni casi non siamo in grado di far arretrare la nostra esigenza di fronte ad una situazione che impone un cambiamento delle normali regole di relazione. L'occasione mi porta a riflettere sulle situazioni nelle quali la nostra percezione soggettiva di urgenza e importanza tende a prevalicare e a prevaricare su tutto il resto del mondo: come se trovassimo quiete solo nel ricevere la risposta al nostro piccolo, specifico quesito, senza tener conto dell'importanza di esso nei confronti di ciò che ci circonda.
Ricordo perfettamente un caso che si è stampato nella mia memoria. Ero già a Pistoia quando un sedicente autore di libri mi chiese un appuntamento urgentissimo per la presentazione di un suo libro nell'auditorium Terzani: aveva provato a cercarmi in ufficio senza trovarmi, aveva insistentemente richiesto il numero del mio cellulare di servizio, ma i colleghi erano stati prudenti, e gli avevano detto che lo avrei richiamato quanto prima. Faccio la telefonata e fisso l'appuntamento: impossibile aspettare la settimana successiva, la questione era molto urgente e andava affrontata subito. Dopo un po' di tira e molla rispetto alla mia agenda già piena, il signore si accontenta del giorno successivo. L'indomani l'uomo è lì, puntualissimo rispetto all'orario previsto. Mi chiede come funzionano da noi le presentazioni degli autori locali. Io gli riferisco ciò che già sta ben scritto sul sito web, e che avrebbe potuto leggersi con calma, senza scomodarsi a venire da me. Vuole visionare l'auditorium, per capire bene come potrà svolgersi la presentazione. Lo accontento. Chiede notizie sul numero di inviti che siamo disposti a stampare, si informa sulle locandine e sulle nostre tecniche di comunicazione tramite social network. Insomma, vuole sapere davvero tutto.
Poi, al momento di "quagliare", gli chiedo in quale data intende fissare l'auditorium, permettendomi di consigliargli di fissarne una successiva alla consegna fisica del libro da parte dell'editore, per evitare quei rischi dell'ultimo minuto che in qualche caso hanno fatto venire i sudori freddi agli autori meno esperti. Certo, mi dice, mi comunicherà sicuramente la data, non appena avrà iniziato a scrivere il libro.
Non essendo su "Scherzi a parte", mantengo nella circostanza il mio aplomb professionale. Non l'ho più visto. Mi sa che il libro non l'ha scritto.