Oggi è una giornata di festa e di riposo. Colgo l'occasione per ripensare all'esperienza indimenticabile della "notte bianca" che si è svolta sabato scorso alla Biblioteca San Giorgio, per festeggiare il 10° compleanno di questa importante istituzione pistoiese. Il programma (vedi) è stato intenso e molto partecipato: migliaia i cittadini che hanno scelto di condividere questa giornata in nostra compagnia, rendendo onore ad una delle biblioteche più amate in Italia.
La cosa che mi ha entusiasmato di più è cogliere negli occhi dei colleghi il piacere nel fare ciò che ognuno di loro ha fatto da mattina fino a notte fonda: far parte di una squadra affiatata, alla quale ci si affida per risolvere un problema, è un risultato importante, che emerge con chiarezza negli effetti complessivi che sortiscono dalla quotidianità. Quest'anno poi i colleghi hanno lavorato in piena autonomia, ciascuno prendendosi cura di un pezzo del programma, senza che io abbia potuto intervenire più di tanto, presa com'ero dalla messa a punto del calendario del secondo quadrimestre. Una autonomia che li ha premiati in termini di fiducia nelle proprie capacità operative e decisionali, ed in termini di entusiasmo.
D'altronde, in occasione del mio recente intervento alle Stelline, ho "teorizzato" che una bibliotecaria anziana come me, che ha raggiunto i trent'anni di carriera, se si trova, come me, in una posizione direttiva, ha la responsabilità di costruirsi la propria inutilità, lasciando crescere i colleghi più giovani e offrendo loro l'opportunità di esercitare con fiducia i propri talenti. Ciò significa che è chiamata a farsi da parte, imparando a riconoscere i segnali incontrovertibili del "punto critico" che la trasforma da motore del cambiamento in remora dell'innovazione.
Io non credo di essere già arrivata al punto di svolgere in via prevalente il ruolo di ostacolo che dev'essere bypassato, o almeno gestito, se in biblioteca si vuole raggiungere un qualunque risultato di innovazione: ritengo di avere ancora molto da dire e da fare. Ma dopo trent'anni c'è bisogno di dare spazio a quella saggezza che permette di riconoscere a se stessi il dovere, oltre che il diritto, di cominciare a lasciare spazio agli altri.
E di questa mia crescente inutilità sono fiera: vuol dire che, evidentemente, ho lavorato bene.