Siamo agli ultimi giorni di lavoro, prima della chiusura di ferragosto: la biblioteca è piena di gente, e tutto procede come se non si fosse in piena estate.
I miei impegni amministrativi sono però in fase di riposo, e perciò posso godermi il lusso straordinario di dedicare quasi tutta la giornata di lavoro a elaborare il saggio che sto scrivendo per la rivista Biblioteche oggi: un saggio in due parti, scritto a più voci, che ricostruisce le scelte condotte sul fronte della comunicazione per la Biblioteca San Giorgio, dalla segnaletica al sito web, dalla comunicazione interna alle alleanze, dall'advocacy al bilancio sociale, passando per la comunicazione di tipo social.
Un percorso davvero ampio, che richiede una scrittura complessa e impegnativa: avevo promesso al direttore della rivista di consegnare il tutto il 31 luglio, ma siamo già quasi al dieci agosto, e ancora non è finita la prima parte. Ma una giornata di lavoro così lunga, e interamente dedicata alla scrittura, non l'avevo certo messa nel conto, e quindi mi sento sufficientemente self-confident da pensare di poter chiudere la partita entro la fine della settimana, andare in ferie con l'animo sereno e permettere al direttore di aprire con soddisfazione la casella di posta elettronica al suo rientro dalle ferie, previste per dopo ferragosto.
Una piccola anteprima per chi vorrà leggere tutto il saggio, dal titolo "Comunicare una piazza del sapere. Primi appunti di laboratorio dalla Biblioteca San Giorgio di Pistoia, a cinque anni dalla sua apertura".
Questo saggio si propone di mappare i sentieri di riflessione e azione che … [la biblioteca ha seguito]: una ricostruzione che non aspira alla sistematicità, ma – più realisticamente – si propone di offrire un resoconto ordinato delle scelte adottate nello specifico ambito indicato. La narrazione avrà l’effetto di regalare un generoso equilibrio narrativo a fatti ed eventi che, nel momento in cui hanno popolato la vita vera della biblioteca, si sono svolti in modo a volte caotico e in certi casi anche casuale, dovendo fare i conti con le asprezze e le discontinuità della realtà quotidiana.
D’altronde, i percorsi di ricostruzione autobiografica di per sé hanno una componente di “razionalizzazione” che tende ad arricchire di senso compiuto il vissuto personale o, come in questo caso, istituzionale. Raccontarsi porta a impreziosire di nessi semantici ciò che è stato percepito dagli stessi attori in gioco come dotato di un corredo più povero di richiami interni: come a dire che, quando si è dentro le situazioni, ci si limita a costellare il foglio di puntini, ma quando ci se ne allontana, la distanza che il tempo ha posto tra noi e gli eventi ci permette di giocare ad unire tali puntini, rivelando l’esistenza di un disegno apparentemente nascosto.
Raccontarsi significa anche venire a patti con le proprie mancanze, riconciliarsi con i limiti del contesto, assumersi la responsabilità dei risultati raggiunti e degli obiettivi mancati, apprendere da se stessi, accettare la sfida di voltarsi indietro non per chiudere i conti, ma per intraprendere, forti di un bagaglio più ricco, un nuovo viaggio formativo e incoraggiarsi a vivere altre avventure.
Beh, vi ho messo la voglia di leggerlo per intero? Coming soon su Biblioteche oggi!