Tra gli obiettivi della settimana appena iniziata c'è quello di portare a compimento un saggio di argomento professionale a cui sto dedicando le mie attenzioni. O almeno di portarlo a buon punto, in vista della sua presentazione all'editore entro la fine del mese di luglio.
Scrivere è un'ottima occasione per riflettere e approfondire; molte le domande che mi brulicano in testa, alcune delle quali troveranno qualche risposta da qui alla fine del lavoro, mentre altre continueranno ad aleggiare tutt'intorno, senza trovare quella tregua che solo chi ha tutte le risposte riesce ad offrire.
Al centro dei miei rodimenti intellettuali, l'intricata rete di relazioni tra teoria e pratica. Mettiamo che sul lato della teoria ci sia un modello di biblioteca ben teorizzato, censito, definito e perfettamente inquadrato dalla dottrina. Mettiamo che sul lato della pratica ci sia una biblioteca vera, che di tale modello aspiri ad essere un illustre inveramento. Ma che, al di là delle aspirazioni legittime, tale biblioteca debba fare i conti – chessò – con la pioggia dal tetto, con il freddo d'inverno e il caldo d'estate, con i tagli sul personale che non le permettono di andare oltre l'orario canonico di apertura, con uno stanziamento risicato per comprare i libri.
Tutte variabili, queste ultime, che incidono fortemente sugli effetti finali del servizio atteso, e che segnano in misura significativa il servizio reso. Chi mai potrà misurare ai punti critici del modello, fin tanto che le esternalità negative eventualmente prodotte saranno ricondotte ai colpevoli scarti della realtà rispetto alle mirabili possibilità intrinseche? Visto che le mirabili possibilità intrinseche per loro definizione sono illimitate, infinite e soprattutto non verificabili (perché la loro verificabilità le trascinerebbe nel gorgo oscuro della prassi), può dunque un modello essere apprezzabile a partire dalle sue realizzazioni concrete?
In altre parole: ciò che viene giudicato realizzazione concreta del modello è davvero solo ciò che si è "salvato" nell'impatto traduttivo con l'atmosfera della realtà, o non piuttosto è l'effetto d'insieme di circostanze che, accanto alle specifiche intenzionalità interpretative del modello, fanno cambiare rotta e direzione per l'effetto delle turbolenze complessive, traghettando anche conseguenze di scelte intenzionali riconducibili ad altri modelli?
In altre parole ancora: i limiti operativi di un modello sono sempre ed esclusivamente attribuibili alle carenze dei suoi traduttori, oppure è in capo all'elaborazione di un modello efficace l'onere di facilitare l'adozione di soluzioni operative "facili" e "sostenibili" nel contesto dato? Ed ancora, il buono e il cattivo di ciò che è stato realizzato in che misura fa i conti, oltre che con la potenza generativa del modello adottato, anche con altre sollecitazioni per dir così "laterali"?
Robe da meditare, ed è solo lunedì.