Approfitto della serata solitaria (Antonio è a cena con amici) per raggomitolarmi sul divano di casa nella copertina azzurra, per guardarmi il film "A proposito di Schmidt", di Alexander Payne.
Lo avevo già visto a suo tempo, ma ho avuto piacere di rivederlo in DVD, più o meno dieci anni dopo la sua uscita nelle sale. Straordinaria e insuperabile la scena iniziale: quella in cui Jack Nicholson, con una espressione stralunata sul volto, in un ufficio quasi del tutto sgomberato, fissa le lancette dell'orologio finché non scattano sulle cinque, per poi alzarsi, prendere l'impermeabile, spengere la luce e uscire per sempre dall'ufficio dove ha lavorato una vita intera come impiegato di concetto.
E' arrivata la pensione per Warren Schmidt, un vero "impiegato medio" ormai imbolsito e invecchiato, col riporto, con una moglie di cui non sopporta più neppure l'odore, e una figlia lontana che si è innamorata di un perfetto imbecille. Per non parlare del giovane bastardo che ha preso il suo posto nella compagnia assicurativa.
In questo quadro tragico, gli unici aspetti positivi sono un camper superattrezzato che la moglie gli ha regalato per inseguire l'avventura di una nuova vita, e l'adozione a distanza attivata a favore di un bambinetto africano.
Alle prese con i conti che non tornano per una vita che all'improvviso appare priva di significato, il vecchio Warren si commuove quando il piccolo Ngubu gli manda dall'Africa un disegno che lo rappresenta per mano al suo lontano padre adottivo. Una frase che mi è particolarmente piaciuta:
"Lo so, siamo tutti ben poca cosa di fronte all'Universo e suppongo che il massimo che uno possa sperare è di fare qualche volta la differenza. Ma io quando mai ho fatto la differenza? C'è una cosa al mondo migliorata grazie a me?"