Pigrizia e un po’ di stanchezza la fanno da padrone in questa giornata che meriterebbe una più degna considerazione, se non altro in ragione del bel sole e del clima non eccessivamente torrido. Poca voglia di uscire e di fare alcunché: le normali attività di riordino della casa ci stremano, inducendoci a ricaricare le batterie sul divano della Ferilli. Qui ricarichiamo anche il buonumore, guardando per la centesima volta, ma con immutata soddisfazione un film cult della commedia all’italiana: Bianco, rosso e Verdone.
Furio e Magda sono per noi la coppia perfetta: impossibile per me e Antonio non giocare a infamarci reciprocamente a suon di accuse di furizzazione e magdizzazione, fino a morire dal ridere. Per non parlare delle mitiche gambe della nonna: e sposta le gambe, e metti le gambe, e leva le gambe… Frase che in questi mesi mi è capitato di recitare in più occasioni, giacché mi sono trovata a fare i conti, mio malgrado, con un continuo andirivieni di situazioni che oggi erano bianche, domani nere e dopo domani grigio antracite.
Il film è semplicemente un capolavoro di comicità, ma ha anche un retrogusto ironico e sarcastico: stigmatizzando i difetti classici degli italiani, e della loro politica, Verdone cucina per i tre personaggi un destino davvero crudele. Tutti e tre sono destinati a perdere la cosa più cara: Mimmo perderà la nonna, che muore in cabina elettorale; Furio perderà Magda, che fugge con il bellone che la insidia lungo tutto il tragitto verso Roma; Pasquale perde la preziosa alfasud, per poi scatenare tutto il suo silenzio in un monologo in lucano stretto che ha la forza di un fuoco d’artificio.
Bianco, rosso e verde i colori delle tre auto con cui i protagonisti attraversano da nord a sud una povera Italia scalcagnata, ignorante e cialtrona.
Quante volte avrò visto questo film? Ecco, forse il sistema più efficace per misurare quanto un film è piaciuto è contare le volte che si è disposti a rivederlo, rinnovando ogni volta un piacere nuovo.