Alcuni giorni fa è stato presentato il corto di Gabriele Muccino “Calabria, terra mia”, un video di otto minuti commissionato dalla Regione Calabria al noto regista romano per promuovere un’immagine nuova ed emozionante della Calabria. Costo dell’operazione, dice la determinazione di impegno di spesa, 1.663,101,56 euro, centesimo più centesimo meno.
La comunicazione costa; la comunicazione di qualità costa ancora di più. Spendere più di un milione e mezzo di euro per promuovere l’immagine di un territorio può sembrare un’oscenità, ma non è detto che le cose stiano per forza di cose in questo modo. Un film, persino un corto, se ben fatto, se in grado di toccare le corde giuste dell’anima, può fare miracoli in termini reputazionali, aiutando una regione “difficile” come la Calabria a decollare in termini di appeal e richiamo turistico e culturale: spenderci tanti soldi sopra potrebbe essere un buon investimento.
Peccato però che il risultato di questo specifico investimento sia così deludente: lo spot racconta di una Calabria instagrammabile ma falsa, con le acque artificialmente verdi, distese perfette di agrumeti, panorami mozzafiato ma che potrebbero essere stati ripresi ovunque. Solo una natura incontaminata (così diversa, peraltro, da quella vera), che restituisce un territorio fermo a cent’anni fa, con le donne vestite di stracci, gli uomini con la coppola e la camicia bianca aperta sulle bretelle, mentre giocano a carte in bar all’aperto fuori dal tempo. Nessuna auto in vista, nessuna città, nessuna modernità.
Esisterà forse una università in Calabria, o qualche istituto di ricerca? O qualche museo, che so, in grado di rendere conto non soltanto del glorioso passato (pensiamo ai bronzi di Riace), ma anche della contemporaneità? Qualche azienda all’avanguardia? Qualche laboratorio di ricerca che sta portando avanti progetti importanti? C’è qualcos’altro oltre alla lussureggiante natura, in grado di offrire contemporaneamente – in un incredibile appiattimento delle differenze stagionali – fichi succulenti, mandarini e arance?
Il tutto affidato al volto popolare di Raul Bova, e della moglie Rocio, che belli sono davvero, ma che sembrano usciti da un fotoromanzo popolare degli anni sessanta, e non riescono né a usare correttamente la grammatica (“Dove vuoi che ti porto?”) né ad andare oltre quell’espressione di plastica che risulta essere il loro massimo di espressività.
Io un po’ di Calabria la conosco: so quante e quali sono le contraddizioni che l’attraversano, i problemi non ancora risolti, ma so anche che ci sono tante cose belle da raccontare, in grado di parlare al cuore dei potenziali visitatori per convincerli ad approdare in questa regione, senza ricorrere a stucchevoli e obsoleti stereotipi, tipici dei depliant turistici di trent’anni fa.
Un pessimo lavoro, diciamolo con chiarezza, a cui per differenza si può opporre lo spot pubblicitario 2018 della Birra Ichnusa, che agli stereotipi ricorre con intelligenza e creatività: una grande occasione sprecata, un ennesimo spreco di denaro pubblico. Peccato davvero.
La parodia al corto di Muccino: una risposta dalla Calabria “vera”