Selvaggia Lucarelli
Casi umani: uomini che servivano a dimenticare ma che hanno peggiorato le cose
Milano, Rizzoli, 2018
Quando una storia d’amore finisce, per tutti – uomini e donne – si apre una fase di transizione difficile e complicata. Ognuno reagisce come può e come sa: c’è chi si butta a capofitto nel lavoro, per lasciarsi alle spalle il dolore dell’abbandono; chi rifugge dalla solitudine infilandosi in nuove storie improbabili, destinate a durare pochissimo; chi, più saggiamente, si ferma un attimo a metabolizzare gli eventi, senza farsi trascinare in situazioni di cui poi potrebbe pentirsi.
Selvaggia Lucarelli appartiene alla categoria di donne che – una volta lasciate dall’amore della vita – non si dà pace finché non trova qualcuno che per una sera, o meglio ancora per sempre, sia disposto a riempire il posto lasciato orrendamente vuoto accanto a sé: o almeno questo è quanto l’autrice vuole che pensiamo di lei, come se la sua verve letteraria fosse solo un abbellimento rispetto a storie così verosimili e ritagliate attorno alla sua vera biografia, da apparire quasi come realmente accadute.
Perle pregiatissime di una improbabile collana da indossare come trofeo di guerra, gli uomini raccontati da Selvaggia sono veri e propri “casi umani”: ominicchi, quaquaraqua, ignoranti come capre ma sempre e invariabilmente pienissimi di sé, nonostante le evidenti disfunzioni mentali che permettono di misurare in anni luce la loro distanza rispetto al più modesto concetto di uomo accettabile, decente, non sconveniente.
Non si può non piegarsi in due dal ridere nell’accompagnare la povera Selvaggia al funerale del padre di chi vuole risparmiare su tutto, proponendo all’addetto alle pompe funebri di riutilizzare per la bara il legno d’avanzo di cui dispone; nel godersi una cenetta a cinque stelle in compagnia di un tronista in cerca di nuovi follower di livello; nell’assistere al siparietto del manager che l’ha abbordata per farne la madre dei suoi figli, ma solo a seguito di inseminazione artificiale. Storie strampalate e talmente incredibili da risultare “normali” per gli attuali standard in fatto di relazioni umane: che sia il caso – ci domandiamo tra una risata e l’altra – che le donne si mettano in testa di non avere bisogno di farsi aiutare da improbabili traghettatori verso una fase successiva della loro vita? Non è forse più opportuno salvaguardare la propria dignità, rimanendo a debita distanza di personaggi indecorosi e del tutto inadatti?
Una riflessione che anni addietro aveva avviato Gianna Schelotto nel suo libro Un uomo purché sia, di cui questi “casi umani” rappresentano idealmente l’effervescente continuazione narrativa.