Nei giorni scorsi, rientrata dalle ferie, ho trovato nella mia casella di posta elettronica il messaggio di un ragazzo che, con una frase scritta in tutto maiuscolo e – se non ricordo male – addirittura senza firma, o con la firma nella forma COGNOME E NOME, presentava la sua candidatura per una posizione di lavoro in biblioteca. Nel messaggio di accompagnamento diceva di avere inviato il file allegato in versione foto, perché non era in grado di realizzare un PDF.
Io sul subito ho pensato di trovare in allegato un file immagine, invece che un pdf, ma quando ho aperto l’allegato sono rimasta decisamente basita. Si trattava di due fotografie scattate probabilmente col cellulare delle due pagine a stampa del suo CV, piuttosto stropicciate e appoggiate malamente su un tavolo di finto legno. Le fotografie, realizzate senza cura, avevano l’intendimento di permettermi di leggere il testo del CV, che però, viste le onde e le pieghe della carta, non si faceva leggere con facilità.
Premetto che io mi impegno a rispondere a tutte le mail che ricevo: per rispetto di chi scrive, chiunque sia, e a qualunque titolo. A volte ci riesco, a volte no: e quando non ci riesco è perché il numero delle mail in arrivo ha ecceduto le mie forze. Quindi ho risposto anche a questa mail, segnalando al ragazzo che le posizioni di lavoro nel nostro ufficio vengono gestite tramite concorso pubblico e non abbiamo in programma l’attivazione di collaborazioni occasionali. Ho salutato, ho firmato e ho inviato.
Ragazzo mio che cerchi un lavoro, hai idea dell’effetto che hai fatto a chi hai contattato per presentare la tua candidatura? Quello che mi è saltato agli occhi non è stata la povertà delle esperienze (d’altronde, quando si è giovani, le esperienze dobbiamo ancora farle), né tanto meno la lontananza della tua formazione formale da quella ritenuta più affine al tipo di lavoro che si svolge in biblioteca (la formazione formale di per sé è una garanzia piuttosto fragile sulle competenze acquisite).
Ciò che mi ha fatto veramente stringere il cuore, ragazzo mio, è la tua mancanza di consapevolezza sulla inadeguatezza con la quale ti sei presentato: hai difficoltà a trasformare il tuo file di testo in PDF? Fatti aiutare da un amico, da un genitore, da un insegnante, ma certo non sottopormi la fotografia di una pagina spiegazzata. Perché purtroppo questa pagina spiegazzata dice molte cose: dice che per te “va bene” presentare qualcosa di sbagliato, di inopportuno, di inadeguato. Dice che non hai maturato la capacità di discernere ciò che funziona da ciò che non funziona in una possibile competizione di lavoro, dove sei tu che devi convincere me a selezionarti – lasciando indietro altri candidati – perché immagino che tu possa essere una risorsa positiva per la mia organizzazione. E invece mi viene da immaginare che tu possa tenere altri atteggiamenti inadeguati: magari – che so – pensi che sia giusto chiedere al cliente di richiamarti perché in quel momento sei occupato, oppure ti viene naturale trattare male le persone perché hai mal di denti.
Ricordo – è successo ormai molti anni fa, forse lavoravo ancora a Empoli – di una ragazza che si presentò per lasciare il suo CV in vista di una eventuale assunzione, chiedendo se – già che c’ero – potevo stamparle io una copia del suo CV perché aveva la stampante con le cartucce esaurite e non aveva avuto tempo di comprare il kit nuovo. Ma siamo pazzi?
Non più tardi di un paio d’anni fa, durante la selezione per il servizio civile in biblioteca, un ragazzo si presentò con un CV piuttosto fragile, nel quale però spiccava un “inglese fluente”. Rimasta sorpresa per questa performance non in linea col resto, gli chiesi se potevamo continuare il resto del colloquio in inglese. Lui mi disse di no, che l’inglese non lo sapeva per niente, anche se un po’ l’aveva studiato a scuola. Allora gli chiesi come mai avesse messo una indicazione del genere nel CV. Risposta: perché mi hanno detto che nel CV l’inglese fluente fa punteggio. Non sapevo se ridere o piangere. Poi mi sono preoccupata, e molto, per il futuro di questo ragazzo.
Per quanto (fortunatamente) ci siano tanti giovani perfettamente capaci di assumere comportamenti del tutto adeguati allo scopo, purtroppo mi rendo conto che sono molti quelli che avrebbero bisogno di acquisire una percezione della realtà meno centrata sulle proprie necessità e i propri bisogni e più orientata a comprendere il mondo esterno e le sue dinamiche. Questi ragazzi magari sono convinti che non ci sia lavoro, e non si pongono il quesito più importante e strategico: “sarò forse io il problema?”. Purtroppo per loro un lavoro così come se lo immaginano non ci sarà mai, perché non sono stati istradati ad acquisire condotte idonee ad un inserimento positivo nel mondo del lavoro: un inserimento nel quale il lavoro è un diritto ma anche un dovere, è una fonte di sostentamento ma è anche una energia positiva che l’organizzazione deve poter mettere a frutto.