Finalmente ieri sera è stato riparato il guasto che da lunedì ha messo fuori uso l’hub della Biblioteca San Giorgio, tagliandoci fuori dall’uso dei telefoni, della posta elettronica, del catalogo, di internet. Siamo ripiombati nel buio medioevo della penna bic, delle conversazioni di persona, dei prestiti trascritti su un foglio di carta. Sono stati giorni a dir poco funesti, nei quali ci aggiravamo come zombi tra gli uffici e i banchi del prestito, rendendoci conto di non essere in grado di fare quasi niente di quanto normalmente facciamo senza pensarci troppo su.
I colleghi in servizio hanno messo in ordine tutto ciò che poteva essere messo in ordine, hanno completato i tanti lavoretti lasciati da parte per assenza di tempo, perché di fronte allo zero assoluto della non tecnologia non potevano certo rimanere con le mani in mano. Io stessa, presa dalla disperazione di poter preparare gli atti amministrativi solo “in word”, senza poterli istradare lungo le strade internettiane del percorso burocratico che porta alla loro approvazione, ho fatto festa in orari impensabili in situazioni normali, correndo a casa per accendere il mio computer e godermi un po’ di “sana connessione”.
Si tratta di una vera e propria dipendenza dalla tecnologia, che in situazioni normali passa inosservata ma che in casi come il nostro emerge in tutta la sua cruda verità. Non siamo più in grado di fare niente senza internet, senza la posta elettronica, senza i cataloghi on line. Non esiste servizio di biblioteca senza la rete.
Mai abbiamo apprezzato come ieri sera il collega del CED che – nuovo Messia in grado di garantirci il nuovo paradiso – ha fatto ripartire tutto l’ambaradan sostituendo il pezzo che si era bruciato con uno nuovo. Dieci grammi di silicio ci hanno messo completamente KO. Non voglio pensare a quanto tempo mi ci vorrà per rimettermi in pari con la posta arretrata.