Oggi ho lavorato con una mia collega alla messa a punto dell’iniziativa “La lettura ti dona”, prevista per martedì 4 ottobre, giorno nel quale ricorre la festa del dono, organizzata ogni anno, ormai da otto anni, dall’Istituto delle Donazioni di Milano e ormai diffusa in tutta Italia (vedi). La Biblioteca San Giorgio partecipa già da alcuni anni a questa manifestazione, focalizzando l’attenzione sul tema delle donazioni librarie, un fenomeno che il COVID ha tendenzialmente ridotto, per evidenti motivi, senza riuscire però ad azzerarlo. Sono infatti moltissimi gli utenti che portano in biblioteca i libri già letti, nell’intento di liberare spazio prezioso per nuove letture. Si tratta di un movimento che interessa tra i 10.000 e i 20.000 volumi l’anno: una ideale biblioteca che si trasferisce dalle case delle persone alla casa dei libri, destinata a tante avventure diverse. Sono in media più di mille i volumi che vengono selezionati per entrare nel catalogo della biblioteca, andando a rimpinguare l’offerta “ufficiale” delle letture: un prezioso aiuto per la San Giorgio, che in questo modo offre la giusta copertura a titoli richiesti, destinando ad altri titoli le risorse che sarebbero state necessarie per acquistarli. I casi più fortunati riguardano le doppie, triple o quadruple copie di un best-seller supergettonato: è noto infatti che le biblioteche non comprano mai, per una scelta comprensibile, più di 2, massimo 3 copie di un romanzo di moda, con l’effetto di non riuscire a far fronte alla lunghissima catena di prenotazioni che vengono ad affollarsi attorno a quel titolo, destinato magari ad essere dimenticato di lì a poco.
Ci vuol nulla a ritrovarsi con 40 prenotazioni su “Spatriati” di Mario Desiati, all’indomani dell’annuncio della vittoria al Premio Strega; peccato che una situazione del genere comporti tempi di attesa del tutto inaccettabili rispetto al desiderio di leggere quel titolo. Se ne abbiamo solo due copie, e tutti si comportano bene nel restituirle in tempo, il quarantesimo lettore dovrà aspettare quasi due anni per raggiungere un obiettivo che nel frattempo sarà di gran lunga svaporato o del tutto dimenticato – possiamo immaginare. In casi del genere chi torna dalle ferie estive e regala la sua bella pila di bestseller freschi freschi, ma già usciti dal proprio radar d’interesse, fa un grande favore alla biblioteca e agli altri lettori, perché in un sol colpo permette di dimezzare la lunghezza delle code, permettendo l’accesso al titolo desiderato in tempi “decenti” rispetto alla durata del desiderio di lettura. In questo bisogna ammettere che le biblioteche non potranno mai smaltire le code velocemente, a meno che – appunto – non si ritrovino a contare su due o tre copie in più del titolo super richiesto, da inserire velocemente a catalogo e magari scartare quando l’effetto alone si è dileguato (del tutto inutile tenere a scaffale 5 copie di un titolo che nessuno cerca più). Già solo per questo motivo le donazioni di libri da parte degli utenti rappresentano una opportunità da guardare con pieno favore.
Ma i motivi per dire sì alle donazioni sono anche altri: i libri donati possono essere venduti nei mercatini periodici che la biblioteca ha facoltà di organizzare direttamente o per il tramite di associazioni amiche (nel caso della San Giorgio, ci affidiamo – appunto – agli Amici della San Giorgio): con un euro a pezzo o comunque grazie alle libere offerte, si può raccogliere un bel gruzzoletto da spendere per comprare titoli nuovi di cui la biblioteca ha bisogno o per qualunque altra necessità impellente rispetto alla quale – magari – il budget istituzionale può essere in difficoltà. Ma possiamo usare i libri donati, specie se in ottimo stato, per donarli agli utenti in occasione di giochi, tornei, laboratori, e altre iniziative organizzate dalla biblioteca. E delle casette dei libri ne vogliamo parlare? A Pistoia per il momento sono quattro, e presto diventeranno otto: sono vere e proprie casette di legno collocate in altrettanti giardini nel territorio comunale, che i cittadini possono liberamente raggiungere per prendere i libri all’interno: anch’esse rappresentano una fonte di smaltimento importante per le donazioni. Gli Amici della San Giorgio hanno creato, inoltre, una vera e propria rete di istituzioni e luoghi associativi dove distribuiscono periodicamente libri in regalo: case di riposo, punti di attesa negli studi medici, sedi di associazioni a carattere sociale e culturale. C’è pure un bar in centro che ha disposto due bellissimi scaffali ricolmi di titoli, dove ci si può servire liberamente, senza dover metter mano al portafoglio. Non è fantastico?
Immaginare che un libro possa trovare una nuova vita passando di mano in mano è gratificante sul piano culturale e su quello ecologico. I principi dell’economia circolare ormai ci sono entrati nel sangue, e non possiamo non pensare al fatto che le risorse naturali usate per stampare un libro vengono usate meglio se quel libro sono in tanti a leggerlo.
I motivi per guardare con grande favore alle donazioni librarie, pensate un po’, non sono ancora finiti. Mi sono tenuta per ultimo (last, but not least – come dicono gli anglofoni) un motivo più di carattere strategico-antropologico che meramente culturale: i cittadini che volentieri donano libri alla biblioteca attivano con essa un rapporto speciale, fatto di partecipazione attiva e di riconoscimento del valore della biblioteca stessa. Nel momento in cui porto il mio sacchetto di libri alla biblioteca, sono mossa da un sentimento positivo nei confronti dell’istituzione, perché sento che quel dono porterà buoni frutti, frutti migliori di quelli che avrei colto nel collocare il sacchetto nel contenitore giallo della carta. Visto da fuori, e dall’alto, il movimento di migliaia di libri verso la biblioteca è un fenomeno positivo di partecipazione, di sostegno e di supporto. Di affetto, di amore: diciamolo senza paura.
Ma non è oro tutto quello che luccica. E dunque c’è bisogno di un supplemento di attenzione e di contenimento degli entusiasmi. Perché dobbiamo fare i conti con alcune dinamiche di pensiero che rischiano di far cambiare di segno al valore delle donazioni. Chi lavora in biblioteca fa i conti con le persone che si ritrovano a svuotare soffitte e cantine e che pretenderebbero di regalare alla biblioteca il contenuto inesplorato di tante scatole di cartone accumulate nei decenni: scatole che magari contengono libri di scuola, vecchie enciclopedie, numeri a caso di periodici cessati, supplementi coperti di polvere, raccolte incomplete di fascicoli acquistati in edicola e mai rilegati. Un enorme ciarpame che i legittimi proprietari dell’epoca non hanno avuto cuore di buttare via, e che gli eredi si premurano di destinare alle biblioteche, convinti che ne potranno fare buon uso. Ecco, proprio no: in biblioteca questa roba non deve mettere piede, e soprattutto le persone devono imparare a capire che non esiste buon uso che possa essere fatto del ciarpame. Perché i libri moderni ma vecchi non sono sacri, ma hanno il diritto di morire e trovare pace nel contenitore della carta, senza che nessuno debba gridare allo scandalo.
Quando ero piccola, avevo in casa l’enciclopedia “Conoscere”, come tutti i bambini nati negli anni Sessanta: ora che sono grande, so benissimo che “Conoscere” ha rappresentato una voce importantissima nella storia della divulgazione scientifica in Italia, nell’epoca del boom economico, e che ha inciso grandemente nello sviluppo culturale della popolazione. Ma il suo l’ha fatto, e oggi (diciamo oggi per intendere gli ultimi quarant’anni) è giusto buttarla via, perché non deve più trovare posto né nelle librerie domestiche, né sugli scaffali delle biblioteche.
E’ importante che i bibliotecari aiutino i cittadini a far proprio questo messaggio, riducendo progressivamente lo spazio per il sentimento di scandalo provato nel caso di libri gettati nei rifiuti: buttare via i libri che non servono più è utile e doveroso, è come togliere le erbacce dal giardino per renderlo più bello (non a caso lo scarto librario in francese si chiama désherbage…. ).
E questo ci porta all’ultimo “capitolo” del nostro viaggio all’interno degli aspetti critici connessi alle donazioni librarie: le donazioni sono, per definizione, un atto casuale, perché nascono da scelte di acquisto individuali: io regalo alla biblioteca tutti i romanzi della Kinsella, che amo molto, ma ormai li ho letti, non ho intenzione di rileggerli e mi prendono un sacco di posto; mia sorella (faccio per dire) ha ricevuto in regalo due libri di Bruno Vespa che non ha nemmeno aperto, e spera che possano trovare estimatori in qualche lettore della biblioteca; mio fratello ha trovato lavoro in America, e vuole liberarsi di tutti i gialli Mondadori che ha accumulato in tanti anni di letture, perché la sua stanza sarà destinata ad un altro fine, e c’è bisogno di smantellare tutto. Dieci romanzi della Kinsella, due libri di Bruno Vespa e tre metri di gialli Mondadori non fanno una biblioteca, è bene intendersi subito. Possono aiutare una biblioteca a sostituire un titolo della Kinsella un po’ troppo sbertucciato dall’uso, a risparmiare soldi pubblici nell’acquisto dei titoli di Bruno Vespa e a colmare le lacune nel reparto gialli, ma da soli non fanno una biblioteca. Anche quando i doni sono non venti, ma ventimila.
Dunque, le raccolte dei libri donati dei famosi netturbini di Ankara non fanno una biblioteca, così come non c’è assolutamente motivo per cui qualcuno pensi che, visto che la biblioteca ha ricevuto 1000 libri in regalo, sia utile ridurre il budget per gli acquisti. La raccolta di una biblioteca non è il risultato casuale di scelte estemporanee e sovrapposte, ma risponde a criteri specifici di copertura rispetto alle diverse tematiche, in relazione alle scelte connesse all’identità e al profilo di servizio del singolo istituto. Esistono metodi scientifici per assegnare livelli di copertura differenziati alle diverse aree: si deciderà di acquistare tutte (o quasi) le novità di narrativa italiana, di limitare la narrativa finlandese (ho detto a caso, non me ne vogliano i finlandesi) solo ai titoli più importanti, mentre per la stechiometria si stabilisce di avere due opere fondamentali e stop. Via, ci siamo capiti: non fatemi raccontare il Conspectus. Nelle donazioni, ogni libro è il benvenuto (beninteso, a condizione che il suo proprietario ci permetta di farne quello che vogliamo), negli acquisti no: ogni libro è il risultato di una scelta attenta e oculata, che non tiene conto – intendiamoci – dei gusti del bibliotecario, ma del profilo di servizio di quella biblioteca.
E poi c’è il caso speciale degli autori di libri: quelli locali, e quelli che vivono lontano dalla nostra città. I primi li conosciamo praticamente tutti: mille volte abbiamo ospitato la presentazione delle loro creature, a volte con qualche successo di pubblico (ammettiamolo), a volte meno (in sala autore, intervistatore, moglie dell’autore, mamma dell’intervistatore). Il loro desiderio è quello che il dono non passi dal canale ordinario, ma faccia subito il suo percorso trionfale verso lo scaffale delle novità: ed è comprensibile che sia così. Ci sono persone che periodicamente controllano la presenza dei loro libri a catalogo, e che segnalano un errore di battitura o chiamano per sapere quanto tempo debbono ancora aspettare prima che la creatura sia catalogata. Per trovare la retta via, dobbiamo ricordarci che le biblioteche locali hanno il compito di conservare questo tipo di pubblicazioni, per documentare la realtà culturale del territorio: e quindi cataloghiamo serenamente queste opere, anche quando non ci appaiono di alto profilo. Persino quando – arrivo ad ammettere! – sono autoprodotte (magari le mettiamo in magazzino, eh, senza passare dallo scaffale novità).
Ma i più curiosi sono gli autori che inviano le loro pubblicazioni per posta, con letterine di accompagnamento sempre molto circostanziate e assertive: si tratta di autori che vivono fino a migliaia di chilometri di distanza, che con la nostra biblioteca non hanno minimamente a che fare. Spesso i libri sono autoprodotti e non generano il minimo interesse rispetto alla raccolta presente. Non ci sarebbe un gran male se fosse lecito rifilarli al mercatino: magari qualcuno disposto a pagare un euro potrebbero incontrarlo. No: questi autori pretendono l’inserimento a catalogo, si indignano se l’operazione non viene compiuta, o addirittura pretendono di riavere indietro, per corriere, i preziosi volumi che hanno inviato.
Sarebbe come se un negozio di Venezia o di Siracusa (dico a caso) ci spedisse a casa merce che non abbiamo affatto ordinato, e pretendesse che la pagassimo o la restituissimo a spese nostre: vi sembra normale? No, non è normale. Ma per i libri scattano alcuni meccanismi speciali per i quali c’è bisogno di un supplemento di pazienza. In questi casi, la scelta della San Giorgio è quella di rispondere nel modo meno costoso possibile al nostro gentile donatore forestiero, segnalando che abbiamo ricevuto il suo dono e che lo abbiamo destinato al mercatino, facendo riferimento al nostro Disciplinare delle donazioni, ben in evidenza sul sito. Se poi reclama la restituzione a nostre spese, una prima volta replichiamo, poi lasciamo correre, in attesa della convocazione in tribunale per lesa maestà.
D’altronde, lo sappiamo che quello del bibliotecario è il mestiere più bello del mondo, no?