Il bello delle biblioteche è che puoi prendere in prestito un DVD al volo per goderti un film mentre stai stirando: è proprio quello che faccio stasera, prima di cena, senza neppure consumare Giga di connessione. Prima di uscire dall’ufficio ho preso in prestito Downsizing, un film del 2017 con Matt Demon nel ruolo di Paul Safranek, un uomo comune alle prese con i debiti da pagare e un desiderio di miglioramento sociale ed economico al di fuori della sua portata.
Il mondo va a rotoli: mentre i singoli inseguono impossibili sogni di ricchezza, l’ambiente naturale soffre in modo irreversibile della sovrappopolazione e degli effetti dell’inquinamento. Uomini e natura sono entrambi infelici e malati. Per fortuna dalla Norvegia sembra giungere una soluzione rivoluzionaria: grazie ad un procedimento scientifico privo di effetti indesiderati, gli uomini possono decidere di rimpicciolirsi fino ad assumere le dimensioni di un pacchetto di sigarette. Grazie al rimpicciolimento, non soltanto il loro consumo di energia si riduce drasticamente, garantendo al pianeta ancora secoli e secoli di vita, ma il loro tenore di vita cresce in modo esponenziale, potendosi finalmente permettere esistenze favolose, sia pure in misura lillipuziana.
Per questo Paul, dopo aver sentito le storie di amici che hanno cambiato vita, trasferendosi nelle tante mini-comunità che hanno preso piede anche negli Stati Uniti, decide di affrontare questa mutazione, lasciandosi alle spalle tutte le preoccupazioni della vita normale per vivere in modo splendido in una delle mini-metropoli popolate da persone miniaturizzate, ricchissime e felici. Peccato che la moglie di Paul cambia idea proprio ad un passo dall’inizio della procedura, lasciandolo da solo a far fronte al mondo di là.
Qui la vicenda va avanti, tra gli Stati Uniti e la Norvegia, offrendo a Paul gli assaggi della nuova vita felice (che poi tanto felice non è), accanto alla inattesa scoperta di un mondo clandestino popolato da disgraziati, che dalla miniaturizzazione sembra non abbiano ricavato un pari accesso alla Terra Promessa.
Ma gli uomini normali, nel frattempo, hanno continuato a depredare e distruggere il pianeta, giungendo anche a coltivare campagne d’odio nei confronti dei “mini”, che fanno i signori senza pagare le tasse né muovere l’economia come dovrebbero fare: alla vigilia del collasso ambientale, la antica colonia norvegese di “mini” si prepara ad una migrazione sotterranea, dove rimarrà 8000 anni al riparo dalla catastrofe, per lasciare una traccia, sia pure in miniatura, della specie umana e poter ricostruire una nuova civiltà, quando il peggio sarà passato.
Il film è carino, e non a caso è stato a suo tempo apprezzato per il suo messaggio velatamente “ecologista”, espresso in chiave metaforica. In effetti il significato autentico del termine “downsizing” non conduce al rimpicciolimento fisico degli esseri umani, ma consiglia una scelta di riduzione dei consumi (e quindi dei rifiuti non compostabili) che fa bene non solo al pianeta, ma anche alle singole persone, offrendo loro l’opportunità di alleggerire l’impronta ecologica assieme alle preoccupazioni per il possesso di cose che non sono in grado di garantire la felicità. Paradossalmente nel film ciò che induce alla scelta di miniaturizzarsi non è il desiderio di salvare il Pianeta Terra, ma è l’inesauribile istinto a possedere tutto ciò che nella vita a dimensione normale è stato negato: una villa enorme, il tempo per giocare a golf, la fine del lavoro, uno stile di vita caratterizzato dall’accesso ai beni più esclusivi sborsando solo pochi dollari.
Un film godibile, che però lascia un piccolo spazio al pensiero sul futuro della specie umana, che – non potendo miniaturizzarsi – dovrà fare i conti alle sue dimensioni normali con un modello di sviuppo che no funziona più e che ci porta dritti dritti verso una fine ingloriosa.