“Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”: questo il famosissimo incipit dell’immortale romanzo “Anna Karenina” scritto da Lev Tolstoj. E anche la famiglia descritta in questo film è infelice a modo suo: un padre in coma irreversibile da oltre cinque anni, quattro figli ormai grandi, ciascuno travolto dai guai in cui ha finito col cacciarsi, nel tentativo di ricercare la propria, personalissima felicità: Alex ha messo su un circolo sportivo, ma è costretto a venderlo se i fratelli non interverranno; Oreste è un musicista fallito, che dirige orchestrine di ragazzini ma nel cassetto ha il sogno di una sua opera musicale meravigliosa, che però nessuno ha intenzione di produrre; Giacinto è quello che professionalmente si è affermato di più, raggiungendo il ruolo di direttore di banca, ma affoga nella solitudine di un progetto di vita altrettanto fallimentare; Fanny è stata lasciata dal marito, che l’ha messa da parte per correre dietro ad una squinzietta qualunque, e non è riuscita a rimettere assieme i pezzi della propria vita.
I quattro fratelli, tra litigi e scontri continui che li vedevano un tempo ragazzini e oggi li scoprono adulti fatti, decidono di vendere la villa del padre, dove sono cresciuti, per poter ripianare i debiti di Alex: ma l’operazione si scontra, proprio il giorno dopo la firma dal notaio, col miracolo su cui si regge tutta la commedia degli equivoci: il padre si risveglia dal coma, e dopo una breve fisioterapia in clinica, potrà tornare a casa, dove la vicinanza dei ricordi del passato lo aiuterà a guarire.
Peccato che la villa sia stata appena svuotata da un improbabile gruppo di zingari, e che il nuovo proprietario prema per iniziare i lavori di ristrutturazione: come nel fortunatissimo e più quotato “Goodbye, Lenin”, la sfida dei figli sarà quella di riportare il padre nella casa di famiglia, dove tutti i mobili debbono magicamente tornare al suo posto, e l’uomo non dovrà mai sapere come sono andate davvero le cose. Qui non c’è il crollo del comunismo da nascondere, ma un inciucio familiare di piccolissimo cabotaggio, che però mette alla prova i quattro strampalati protagonisti, che si rivelano incapaci di svelare al padre la verità, così come di costruire una finzione veramente credibile.
La commedia non fa ridere, anche se sul filo della menzogna transitano scenette godibili e divertenti: il pensiero è tutto preso dalla pietà per una famiglia sfasciata, che non ha saputo compattare gli affetti né è stata capace di consolidare relazioni autenticamente affettuose. L’unica costruzione che rimane è la vecchia villa nel verde: l’unico vero patrimonio che i genitori hanno costruito e che i figli non hanno saputo mantenere. L’happy end (peraltro poco credibile) rimette in equilibrio la vicenda: ancora una volta è la generazione dei padri a salvare dal disastro quella dei figli, tutti troppo inconsistenti per costruire qualcosa capace di andare oltre l’immediato.
Recensione:
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