Su Netflix in queste settimane sta spopolando L’incredibile storia dell’isola delle rose, un film diretto da Sydney Sibilia e ispirato alla storia vera dell’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, che nel 1968 decise di costruire una piattaforma di metallo in mezzo all’Adriatico, a poche miglia dalla costa di Rimini, per farne prima uno spazio personale di libertà e poi addirittura una micro-repubblica indipendente dallo Stato italiano.
La storia, raccontata quasi dieci anni fa nel romanzo di Walter Veltroni L’isola e le rose e prima ancora riportata nel memoriale dello stesso Rosa recentemente riedito, risulta sconosciuta a me e a gran parte dei miei coetanei, che pure all’epoca dei fatti erano già nati e conservano ricordi nativi di quel periodo così pieno di conflitti e tensioni tra cambiamento e conservazione. Sono in molti (fra i tanti, vedi qui) a sostenere che il film sta poco dietro alla vicenda storica, perché il protagonista non era un neo-laureato ingenuo dalla creatività debordante, ma un attempato ingegnere dalla carriera già avviata, liberale e già sostenitore della Repubblica di Salò, che vide nella piattaforma di Rimini una opportunità commerciale con cui invadere il mercato, offrendo a costi molto più contenuti di una villetta sulla costa un nuovo status symbol in grado di esercitare grandi attrattive verso i neo-ricchi dell’epoca.
Ma a noi che in questo momento non siamo tanto interessati alla storia che fu quanto a goderci il film, piace moltissimo un Elio Germano che – romano di Roma – parla un bolognese stretto con grande facilità e interpreta il ruolo dell’ingegnere folle, sempre pronto ad anteporre la sua fantasia creatrice alle regole del buon senso e della quotidianità.
L’utopia dello stato indipendente sarebbe durata 55 giorni: lo Stato italiano avrebbe reagito con le cattive, attaccando e provando a distruggere (senza grande successo) la piattaforma di 20 metri per 20: un po’ discoteca romagnola in mezzo al mare, un po’ sogno strampalato di un visionario innamorato della tecnica, un po’ potenziale luogo di perdizione e protesta. Un segno dei tempi, che le mareggiate – più che le cannonate – avrebbero distrutto in pochissimo tempo: tempi nei quali le utopie trovavano l’energia per nascere, ma non per crescere e consolidarsi.
Molto carino, davvero.