Film del 2013 di Stefano Incerti, “La vita come viene” si presenta come un mosaico di vite che si sfiorano senza mai toccarsi veramente: vicende tragicamente normali, in un’Italia ancora opulenta ma già priva di speranza e di senso da condividere. Interessante il montaggio, frammentato ad arte e con primissimi piani, che costringe lo spettatore a rincorrere i pezzi di storie incastrati come in un puzzle volutamente illeggibile. Perché non c’è una direzione o un senso di speranza per nessuno: per la coppia borghese che nasconde dietro l’esibizione della ricchezza l’infinita storia delle rate da pagare, e dietro la perfezione della famiglia perfetta la speranza di lei per uno spasimante sconosciuto, capace di scriverle lettere bellissime; per una bibliotecaria solitaria, che si scopre essere l’autrice delle lettere d’amore alla donna; per un dentista che nel weekend gioca alla guerra e finisce per uccidere la moglie incinta; per un musicista fallito, segnato dalla malattia del figlio; per un giovane padre che perde il lavoro.
Un mondo triste e scuro, privo di speranza e di solidarietà, che ha smarrito il suo significato e che non ha voglia, o non sa, guardare avanti. Un film a modo suo “francese”, per l’attenzione al carattere dei personaggi, allo spleen che ne segnano il destino. Un film poco conosciuto, unanimemente giudicato male, ma con attori di buon calibro (da Haber alla Sandrelli, dalla Bruni Tedeschi a Tony Musante). Lo dimenticherò presto, ma non mi dispiace di averlo visto.