Sto leggendo l’ultimo romanzo di Sacha Naspini, “La voce di Robert Wright”: non l’ho ancora terminato, e la sola idea di raggiungere la fine della storia mi inquieta, perché non so proprio che cosa mi aspetta in conclusione di una vicenda così inusuale e particolare. Sacha Naspini è a mio giudizio il più grande scrittore italiano contemporaneo, superiore a chiunque altro abbia pubblicato romanzi nel XXI secolo: forse la sua superiorità non è ancora patrimonio condiviso, ma chi ha letto i suoi libri sa che non mi sbaglio. E non mi sbaglio neanche se ho incontrato mille volte Sacha, ho le sue dediche sui libri, è venuto tante volte a Pistoia a presentarli, e quindi potrei essere tratta in inganno dalla vicinanza, dalla conoscenza diretta.
Dopo “Nives”, quest’ultimo romanzo lo riconferma grande esploratore dell’esperienza umana, capace di dissezionare i sentimenti dei protagonisti fino al punto di raggiungerne tutti gli elementi primari, per poi restituirli in un affresco dell’anima che è sempre scuro, acido, insopportabile: giacché i sentimenti belli, che esistono e illuminano la vita di tutti noi, non sono altrettanto interessanti, almeno dal punto di vista letterario.
Carlo Serafini, protagonista del romanzo, è un uomo che ha passato da poco la settantina, e può vantare una vita segnata dal successo: il suo lavoro di doppiatore e di attore teatrale gli ha permesso di raggiungere la fama, la ricchezza, il benessere. La sua voce straordinaria, la sua capacità di immedesimarsi nel personaggio doppiato, gli ha permesso di essere riconosciuto per strada, di mettere su una famiglia felice, di pagarsi un superattico nel centro di Roma. Lui è la voce di Robert Wright, un grande attore americano che da oltre quarant’anni è l’idolo delle folle di tutto il mondo: il legame tra Carlo e Robert è del tutto speciale, perché basta che Carlo apra bocca in un qualunque contesto, e tutti associano quella voce al volto e alle vicende dei personaggi interpretati in tanti film da Robert Wright.
Come in ogni costruzione narrativa che si deve, c’è un evento che rompe gli equilibri felici: Robert Wright, per motivi non ancora noti, decide di togliersi la vita nella sua villa in California. Non può certo immaginare che il suo gesto estremo abbia effetti anche oltre oceano: a Roma, Carlo Serafini si ritrova all’improvviso privo del senso profondo della sua vita, senza più quell’alter ego con cui si è identificato per oltre quarant’anni. E così, Carlo – che era appunto la voce di Robert Wright – si ritrova all’improvviso senza voce. Non parla più, non trova più il senso nel far uscire dai propri polmoni la voce di chi ormai è morto, e non può più parlare.
Non è una vera malattia, ma solo l’effetto di un trauma dal quale si riprenderà presto, non appena avrà elaborato il lutto per una perdita così importante per lui: questo sperano i familiari di Carlo, che si stringono attorno a lui nella speranza che il mutismo passi presto, e la vita riprenda il suo corso ordinario. Ma in realtà, con la morte di Robert, Carlo si ritrova all’improvviso da solo a ripensare la propria vita, a guardare per la prima volta se stesso sotto una luce del tutto inedita, fino a scoprire l’esistenza di un mondo finora inesplorato.
Ecco, sono proprio in questa fase della lettura: Carlo è in casa, nascosto allo sguardo dei familiari, che lo stanno cercando, immaginando che sia fuggito, magari per suicidarsi a propria volta. Non sono tante le pagine che mi separano dalla fine, eppure non oso riprendere la lettura, proprio per il timore di concludere la storia; ma nel contempo sono curiosa di sapere come andrà a finire, perché posso immaginare che Sacha tirerà fuori qualche marchingegno dei suoi per tenerci col fiato sospeso fino all’ultimo secondo.
Molto curiosa la scelta stilistica di rivolgersi con il “tu” al protagonista: chi parla (l’io in questo caso) è l’autore ma anche il lettore che dall’esterno guarda a Carlo Serafini come all’interlocutore al quale si rivolge durante tutto il libro, nell’intento di aprire con lui una conversazione che, almeno al netto delle ultime pagine, non riesce mai a trovare risposta.
Un libro scritto con uno stile sempre molto composto e raffinato, oserei dire stilisticamente perfetto, che unisce in modo esemplare l’approfondimento psicologico dei personaggi e della vicenda alla velocità di lettura, rendendo il lettore un felice schiavo della storia.