L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Coronavirus ha introdotto moltissimi cambiamenti nella nostra vita, sia personale che professionale. Molti di questi cambiamenti avranno effetti anche in futuro, quando la quarantena sarà finita e ritorneremo a frequentare con regolarità i luoghi dove finora trascorrevamo il nostro tempo. Non saremo mai più gli stessi di prima, e forse – accanto alle sofferenze per la malattia e al dolore per le persone che purtroppo non ce l’hanno fatta – potremo dire di avere appreso qualche lezione nuova. Ecco alcune di queste lezioni, almeno secondo me.
LEZIONE APPRESA N. 1: LE RIUNIONI
Abbiamo tutti cominciato a prendere confidenza con le riunioni a distanza: abbiamo capito come funzionano le videoconferenze e abbiamo sperimentato varie piattaforme, tutte molto facili da usare. E abbiamo capito che non torneremo mai indietro: basta un clic e ci sentiamo da ogni parte d’Italia o del mondo, senza muoversi dalla nostra postazione di lavoro. Ora che abbiamo imparato, abbiamo buoni motivi per ridurre al minimo le riunioni in presenza, specie quando rappresentano un momento ordinario di vita lavorativa, e non una occasione speciale e unica di incontro. Mi spiego: non si può sostituire la cerimonia di conferimento degli Oscar o del Premio Nobel con una videoconferenza, né – più in piccolo – si può ridurre ogni incontro ad un mero scambio di informazioni: c’è una dimensione relazionale e rituale che non si può certo azzerare, e un “intorno” che fa bene alla vita lavorativa. La missione alle “Stelline”, tanto per fare un esempio bibliotecario, è un rito e un mito che fa bene alla vita dei bibliotecari, perché in quella occasione lasciano la propria scrivania, cambiano aria, incontrano persone, visitano gli stand, ascoltano gli interventi: si rigenerano dal punto di vista professionale. Ma gran parte delle riunioni operative può davvero essere sostituita da una buona videoconferenza (ad averci buona banda, s’intende): perché una videoconferenza può essere registrata, e quindi “ferma” i contenuti, salvandoli dal rischio delle incomprensioni (“No, io non ho detto questo…”), può essere ascoltata da chi non era presente, e obbliga ad una attenzione sicuramente superiore alla riunione in presenza. Sei lì che ti guardano tutti, non puoi spippolare tutto il tempo al cellulare, come forse potresti fare piazzandoti in un punto strategico della sala riunioni. Se intervieni o non intervieni, il tuo comportamento è registrato e non puoi dire una cosa per un’altra. Però è anche più faticoso: dopo 2 ore, hai bisogno davvero di chiudere, e questo aiuta molto nel trovare l’accordo che manca, o la soluzione che ci permette di dare l’arrivederci a tutti.
Spesso ci muoviamo per raggiungere la sede di un incontro nella nostra stessa città, magari presso il Municipio o l’ufficio del nostro capo, o dell’assessore, con l’effetto di destinare parecchio tempo agli spostamenti e di essere lontani dal collega che vuole farci firmare una lettera urgente in partenza. Per non parlare delle riunioni dove si deve raggiungere una città diversa dalla nostra, magari per incontrare i funzionari o gli assessori regionali o i colleghi di altre regioni: in questo caso risparmiamo non soltanto sul tempo di lavoro, ma anche sulle spese di viaggio e soggiorno, che possono incidere non poco quando le distanze di obbligano, addirittura, ad un pernottamento fuori casa. Dunque, sì convinto e stentoreo alle riunioni a distanza: diminuiranno le entrate per qualche bar, per le ferrovie dello stato, per qualche albergo. Ma sicuramente ne trarranno beneficio le finanze pubbliche ed in generale l’efficienza della nostra giornata lavorativa.