Con il film Margin Call ho un conto in sospeso: ho provato a guardarlo 7 o 8 volte, e mai una volta sono riuscita a vederlo finire. Mi addormento sempre al solito punto: quando il giovane analista finanziario Peter Sullivan, al termine di una giornata di lavoro terrificante, che ha portato al licenziamento in tronco di quasi tutti i funzionari di una importante banca, si attarda in ufficio per consultare i dati che il suo capo, prima di essere sbattuto fuori dall’azienda, è riuscito miracolosamente a consegnargli su una chiavetta, invitandolo a stare attento.
Dentro quella chiavetta c’è la storia della crisi del 2008 che portò al crollo della Lehman Brothers e ad uno tzunami economico-finanziario in grado di mettere in ginocchio le economie di tutto il mondo: i dati riportati nelle tabelle preannunciano l’inizio del tracollo per l’azienda, e nessuno riuscirà a salvarsi, né vittime né carnefici.
Il giovane analista chiama i suoi capi a raggiungerlo in ufficio per avvisarli di quanto sta per accadere. E lì mi fermo, tutte le sante volte. Eppure il film è coinvolgente, ha il ritmo giusto, ha degli attori strepitosi (primo fra tutti, quell’antipaticissimo di Kevin Spacey, che interpreta l’antipaticissimo funzionario con mezzo metro di pelo sullo stomaco, pronto a fare discorsetti motivazionali da manager ai pochi che sono rimasti in servizio dopo il taglio delle teste dei più. Ma da lì non mi schiodo: intravedo una Demi Moore attempata, che non riesco mai a capire che parte faccia in commedia, e un fascinosissimo Jeremy Irons che già da solo meriterebbe che io rimanessi vigile per tutto il tempo. Per non parlare del fatto che i film di “ufficio”, girati negli studi legali, nelle banche o altri ambienti di tipo impiegatizio, mi piacciono un sacco e li seguo sempre ben volentieri.
Com’è, come non è: non ce l’ho fatta nemmeno ieri sera, quando – girellando su Amazon Prime – ho ritrovato questo titolo, e mi sono detta: “Ah, questa è la volta buona!”. Niente da fare. Sarà stato che erano le undici di sera, e avevo fatto dieci ore di lavoro? Forse. Via, stasera ci riprovo.
Ce l’ho fatta: ho visto finire il film. Ci sono stati due momenti di sonno piccoli, che mi hanno permesso comunque di seguire l’intricata vicenda. Quanta disinvoltura crudele, quanto egoismo dietro certe ricchezze costruite sul nulla! Una storia sostanzialmente “vera” (nel senso almeno degli evidenti richiami al caso Lehman Brothers) che fa pensare con nostalgia alla buona, vecchia economia, incentrata sui soldi veri e sul lavoro.