Me lo dicono tutti: approfitta del trasloco per buttare via quante più cose possibili! E’ vero: le nostre case sono piene di oggetti. Di molti di essi abbiamo perso completamente le tracce e il ricordo; e anche per quelle cose di cui serbiamo memoria, vale spesso la considerazione che non basterebbero altre cento vite per poterle utilizzare tutte. Nel mio caso, penso ad esempio alle penne, ai pennarelli, alla cancelleria in generale e alle decorazioni, che continuo a comprare pur sapendo di non averne il minimo bisogno. Potrei tranquillamente rimanere con solo le mie stilografiche e la scorta di cartucce, eliminando ogni altro strumento di scrittura, immaginando di vergare l’equivalente di cento romanzi russi dell’ottocento senza mai rimanere a secco.
Sono mesi, ormai, che in vista del cambiamento di casa, sto cercando di alleggerire il mio bagaglio di vita, fatto di cose bellissime, ricordi, utilità e cianfrusaglie. Trascorrere la nuova fase della mia vita con un bagaglio leggero è obiettivo fuori dalla mia portata: nel continuum che porta da Socrate ai fratelli Homer e Langley Collier, mi posiziono più verso la zona abitata dagli accumulatori seriali che verso quella dove vivono i minimalisti. Mi tengo comunque molto fuori dall’area a rischio degli hoarders, grazie a una continua azione di riordino che mi permette di tenere regolarmente sgombri i pavimenti, le superfici dei mobili e gran parte dei cassetti. Ci sono però alcune “zone di accumulo” che tendono a trasformarsi in pericolosi blob: i libri, che non vorrei mai buttare, la bigiotteria, le decorazioni, la cancelleria, l’area “regali” (ovvero quell’insieme di contenitori in plastica in cui raccolgo durante l’anno gli oggetti che acquisto con l’intenzione di farne dono ad amici o parenti, in occasioni particolari: è grazie a questa raccolta che io a ottobre ho già pronti tutti i pacchetti per natale, e sono quasi sempre in grado di improvvisare un regalo gradito per una cena improvvisa, senza dover correre a fare shopping. Ma in effetti l’ingombro di queste scatole è tutt’altro che irrisorio!).
Una delle zone più a rischio di disordine di tutta la casa è il mio ufficio domestico, una piccola area nella quale finiscono per entrare in collisione e commistione le diverse esigenze di vita: amministrare gli affari di famiglia (gestendo documenti e pagamenti), conservare tutte le carte e le decorazioni che servono per fare i pacchetti e per divertirsi nel tempo libero, stoccare l’archivio delle attività di lavoro istituzionale e non (trent’anni di lavoro e di letture non si sistemano certo in un semplice contenitore ad anelli, ma si espandono per parecchi metri lineari). Stampante, scanner, computer, agende di lavoro convivono con le scatole dove sono raccolti stickers, lavorini fatti con la big shot, fustelle, perline, nastri ordinati per colore, bustine trasparenti ordinate per grandezza, coccarde colorate ordinate per dimensioni, Qui è veramente difficile tenere in ordine: basta una vacanza di qualche giorno per trasformare il piano della scrivania in un campo profughi con regali da consegnare, oggetti da ricollocare, posta da aprire, bollette da pagare, riviste da sistemare, scontrini da buttare via, spiccioli sparsi da rimettere assieme. E può succedere che i miei impegni di lavoro di tipo 9-19 mi portino a chiudere tutt’e due gli occhi sulla necessità di mettere a posto tutto quanto.
Il segreto per non perdere il controllo sugli oggetti di cui si è padroni, lo so bene, è l’organizzazione e la disciplina. Sulla disciplina non nutro grandissime speranze, mentre sul fronte dell’organizzazione mi figuro qualche risultato positivo. Sicuramente un po’ di selezione non fa altro che bene: giusto oggi – per esempio – mi sono liberata di 4 righelli, lasciandomene solo 2, che comunque sono più che sufficienti per le mie esigenze.
La maggior parte delle cose di cui mi libero finisce nello swapping, una scatola di cartone in cui raccolgo tutto ciò che destino allo scambio con le amiche: i miei righelli saranno sicuramente apprezzati da qualcuno, assieme agli acquisti sbagliati e agli oggetti che mi sono tanto piaciuti e che ora non ho più intenzione di avere sotto gli occhi.
Ma al di là della selezione, ciò che credo funzioni oltre ogni cosa è la “divisione”, ovvero l’uso di contenitori di plastica o di cartone da collocare dentro cassetti o altri contenitori più grandi, dove sistemare per tipologia i vari oggetti: in un cassetto normale possono entrare anche sei piccoli contenitori in cui sistemare i post it nuovi e usati, i rotolini di biadesivo, i flaconcini di colla, le spille delle spillatrici (meglio se suddivise per misura), le palline di elastici colorati, le cartucce di riserva della stampante. Bellissimo aprire un cassetto e trovare, ordinati come soldatini in alta uniforme, le penne, i pennarelli, i gessetti, i markers, i pennelli, i lapis, le matite colorate, le forbici di tutte le misure. “Divide et impera” sembra un’espressione nata apposta per i patiti dell’organizzazione, che riescono a contenere gli effetti negativi delle grandi quantità di oggetti da gestire attraverso, appunto, una ferrea suddivisione in contenitori.
Il lato negativo di questo approccio è che… c’è bisogno di più spazio! Il disordine, in effetti, è meno space-consuming, perché mescola tutto insieme ciò che, per stare diviso, deve per forza di cose occupare uno spazio maggiore. In spazi piccoli, come nel caso del mio attuale ufficio domestico, c’è poco da fare. Bisogna ridurre il numero di oggetti. E soprattutto assumere la riduzione degli oggetti come una pratica quotidiana di vita, e non come il risultato di un repulisti straordinario.