La prospettiva della riapertura delle biblioteche e degli archivi è ormai vicina ai nostri occhi: in questi giorni non si fa altro che lavorare ai turni di servizio, alla pianificazione delle attività da svolgere, alle azioni da fare per la ripartenza. Dallo smart working ritorneremo progressivamente allo stupid working, quello tradizionale, in presenza, con tanto di passaggio di badge in entrata e in uscita. E’ tempo di cominciare a fare un bilancio di questi due mesi e così strani, nei quali siamo rimasti in casa e abbiamo dovuto licenziare le nostre vecchie abitudini per assumerne altre, completamente nuove di pacca.
Che cosa è successo in questi mesi? Che cosa porto in dote ai mesi che verranno? Che cosa rimarrà di questo periodo? Intanto, cominciamo dai prodotti materiali. Ho elaborato un saggio professionale sul tema dei prestiti non convenzionali nelle biblioteche americane, la cui idea era stata soltanto abbozzata prima dell’emergenza: si è trattato di un testo importante, almeno quanto a estensione (75.000 caratteri, una trentina di pagine a stampa), che uscirà nel numero di maggio di “Biblioteche oggi”. Sono stata davvero contenta di avere compiuto questa ricerca sulle biblioteche americane, che per prime hanno “osato” andare oltre il perimetro documentario tradizionale per prestare ai propri utenti di tutto: dalle macchine da cucire ai trapani, dalle cravatte ai semi da piantare in giardino, dai computer alle pompe per gonfiare le biciclette. Poi ho scritto uno dei miei librini mignon, su come raccontare la biblioteca in modo efficace: un libro intero sullo storytelling usando questa parola solo una volta! Il librino è stato il prodotto finale di un progetto più ampio, che ho dovuto saggiamente ridimensionare, non potendo dedicarmi a ricerche e approfondimenti professionali di grande spessore: non sono una studiosa, sono una bibliotecaria militante, che scrive “biblioteconomia rosa” (librini carini da leggere, magari interessanti e utili, ma niente di che sul fronte delle alte teorie). D’altronde, è questo ciò che so fare bene: un libro di approfondimento scientifico sarebbe stato troppo faticoso per me, e forse non sarebbe stato all’altezza non solo delle necessità della nostra professione, ma neppure delle mie stesse aspettative. Libri del genere li lascio ai colleghi studiosi, a quelli più bravi di me e a quelli che hanno tempo per farlo.
Poi ho letto molti romanzi, tutti molto belli: un numero spropositato rispetto al consueto. E di essi ho fatto quasi sempre delle recensioni che sono state o saranno pubblicate sul sito della San Giorgio, oltre che qui.
Alla casa ho dedicato attenzioni non speciali, devo dire la verità: l’ho pulita, l’ho gestita, ho rimesso a posto ciò che è stato usato ogni giorno, ma non vi ho dedicato progetti particolari. D’altronde, come facevo ad occuparmi delle nuove tende, senza poter andare per negozi a scegliere la stoffa più adatta?
Sul fronte tempo libero, mi sono goduta un po’ di puntate della Signora in giallo, ed ho guardato quasi per intero su Amazon Prime le 8 serie di Desperate Housewives: una serie di successo che mi ero persa all’epoca della sua prima uscita in Italia, una decina d’anni fa, e che mi ha veramente coinvolto e divertito. Ma ne parlerò un’altra volta.
Tanto lavoro, sì: troppo. Soprattutto nelle ultime settimane, con le videoconferenze più volte al giorno, mi sono ritrovata al pezzo dalle 8 alle 20 senza avere il tempo di un minimo di pausa per mangiare. C’è chi è riuscito a non fare niente, in questi mesi: che dire? Buon per lui, o per lei. Io ho dovuto dare il massimo, ma sono contenta di non essermi risparmiata. Lo stipendio è arrivato a fine mese, e posso dire di essermelo guadagnato. E ringrazio il cielo, guardando a chi non ha potuto contare su garanzie uguali alle mie.
Ho anche lavorato ad un progetto importante: il mio nuovo sito web, completamente ripensato dal punto di vista grafico e dei contenuti, che spero di poter mettere in linea entro l’estate. Nato nel 1999, il sito è ora alla sua terza “rinascita”: la prima volta l’avevo fatto da sola in html, ma dopo qualche anno scontava, al di là dei contenuti aggiornati, una grafica un po’ troppo home made per apparire professionale. Da qui l’aiuto di un professionista, che mi aveva fatto fare un salto di qualità, attraverso la scelta di una soluzione graficamente molto più gradevole e aggiornata rispetto al gusto del tempo. E adesso ecco il nuovo salto in avanti, con la scelta di pagine più ariose, con molte fotografie di qualità, e niente più immagini rubate da internet. Insomma, un grande passo per me (mentre per l’umanità, ça va sans dire, nessun passo in avanti), e un nuovo impegno da mantenere.
Ho rivisto e aggiornato il mio CV: gustosissimo scoprire il “tragico” buco del 2019, in cui non ho ottenuto nessun risultato tangibile sul fronte extraprofessionale (niente corsi, niente partecipazione a convegni, niente pubblicazioni). E’ stato l’anno in cui mi sono concentrata sui lavori nella casa nuova, e quindi è stato già tanto star dietro al lavoro ordinario, che poi tanto ordinario non è già da solo.
Questo è quello che ho fatto. E che cosa ho provato? Molti sentimenti, molta nostalgia, molta gratitudine per quello che ho avuto, molta paura per le incertezze prevalenti. E ho fatto tanti piccoli pianti quotidiani: i miei occhi non si sono mai così tanto lubrificati come in questi mesi. Ho pianto durante le pubblicità solidali, guardando le immagini in TV, sentendo le persone lontane al telefono. Ho pianto all’idea di quello che avevo e all’idea di quello che avevo perso. A forza di usarla, ho rotto la tastiera di un computer, ho consumato una quantità di Giga che avrebbe tenuto connesso col mondo tutto San Felice. Ho speso pochi soldi, e un pieno di gasolio alla Cinquecento mi sta durando 3 mesi. Ho mangiato con qualche accortezza e non troppi abbandoni, ho fatto un po’ di cyclette (ma meno di quello che avrei dovuto), ho comprato un po’ di cose su internet (ma meno di quello che avrei voluto), sono rimasta in contatto con le persone a me care (ma meno di quello che avrei potuto).
Le gatte Ginger e Pallina sono state felici di avermi quasi sempre a casa: quelle poche volte che sono uscita, per andare in biblioteca, le ho trovate col musetto triste alla porta d’ingresso, in attesa del mio rientro. Ho dormito poco e male, come tutti; se non fossi stata costretta dal lavoro, mi sarei alzata alle 10 e sarei andata a letto alle 3 di notte. Se non fossi stata costretta ad uscire o a partecipare alle riunioni, sarei rimasta sempre in pigiama. Antonio mi ha coccolato ma qualche volta mi ha fatto anche arrabbiare. A volte ci siamo litigati i computer (e ne abbiamo quattro, forse troppo pochi?), ci siamo dati noia in una casa su due piani di quasi 200 metri (e le famiglie che vivono in 60 metri che fanno?), ma poi abbiamo sempre fatto pace. Abbiamo contato sulla solidarietà dei nostri vicini di casa, che si sono confermati amici fraterni. Mi sono mancate la mia mamma e la mia sorella, che ho potuto visitare solo quando i confini tra le province sono stati soppressi. Per fortuna ci siamo sempre viste in videochiamata: grazie, Whatsapp, per esserci!
E poi, cos’altro? Ho pensato a quali erano gli approcci più funzionali per affrontare questo momento, a cosa avrebbe funzionato di più per uscire dalla crisi. E ho provato a impiegarli. Ma di questo parlerò in un altro post. Adesso ho finito l’inchiostro.